Rive strimonie con la flebil cetra
Doice chiamando la sua cara Euridice :
Taceansi i venti, e l’acque, e le frondose
Chiome taceahsi de le querce antiche ;
Tale te udio cantare a miglior tempi
Verona tua, per cui nè ad Ascra il vecchio
Invidia, cui le muse il lauro diero
Di propria man, nè la sua Sasfo a Lesbo.
Nè tanto al cener di Virgilio sparso
Pianger s’ udir le mantovane ninfe,
Nè tanto Omero suo Eurota pianse,
Con quante grida al cielo a Paure a l’onde
À le stelle a gli dei, cigno canoro,
Le cento figlie del padre Benaco
Del tuo ratto fuggir tutte si dolsero.
Egli al Mincio negè l’usata vena,
E per lo duol sotto il profondo stagno
II glauco capo , e l’urna immensa ascose .
A1 tuo partir le JNajadi l’erboso
Fondo lasciar deVristallini humi ;
E gli alti monti, e i bei soggetti colli,
Che fanno al lago ombrosa chiostra intorno,
Turbate in vista abbandonar le verdi
Napée dai sparsi crini j e l’alte querce
E i pini, ono,r de le montane balze,
Le Driadi lasciar meste e dogliose.
.Nè più su i poggi Silvanetti, e Fauni
Doice chiamando la sua cara Euridice :
Taceansi i venti, e l’acque, e le frondose
Chiome taceahsi de le querce antiche ;
Tale te udio cantare a miglior tempi
Verona tua, per cui nè ad Ascra il vecchio
Invidia, cui le muse il lauro diero
Di propria man, nè la sua Sasfo a Lesbo.
Nè tanto al cener di Virgilio sparso
Pianger s’ udir le mantovane ninfe,
Nè tanto Omero suo Eurota pianse,
Con quante grida al cielo a Paure a l’onde
À le stelle a gli dei, cigno canoro,
Le cento figlie del padre Benaco
Del tuo ratto fuggir tutte si dolsero.
Egli al Mincio negè l’usata vena,
E per lo duol sotto il profondo stagno
II glauco capo , e l’urna immensa ascose .
A1 tuo partir le JNajadi l’erboso
Fondo lasciar deVristallini humi ;
E gli alti monti, e i bei soggetti colli,
Che fanno al lago ombrosa chiostra intorno,
Turbate in vista abbandonar le verdi
Napée dai sparsi crini j e l’alte querce
E i pini, ono,r de le montane balze,
Le Driadi lasciar meste e dogliose.
.Nè più su i poggi Silvanetti, e Fauni