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4&8 S A G G I 0

tamente^ csse pensava Orazio, come scrIt-*.

tore e corne uoino di leitere.

Benchò Roma a’tempi di Augusto con 1©
spoglie di tutte le nazioni, e singoiaimen-
te dei Greci, ne avesse già ricevuto anche
ïe arti la erudizione e la fìlosofia ; non è
però, che di molto distorti giudizj non si
centissero assai volte tra il popolo: E popo-
lo s’hanno anche a chiamare, come dice
quel hlosofo, moki togati. Troppo lungo
tempo ci vuole a formare, anche mediocre-
mente, in materia di gusto una nazione»
Teneva a quel tempo in Italia quella me-
desima pregiudicata opinione^ la qual tie»
ne a’giorni nostri in riguardo all’antichità »
Sentenziavasi, che salire non si potesse più
là di quegli ingegni* da’quali era stato cc
cupato un luogo quando da prima i Ro-
mani si volsero allo studio delle lettere.
Privilegiati si riputavano quegli autori, e
immuni da qualunque errore ; quasi che 3a
patina dell’antichità, come sa delle meda-
glie, cos'j ancora impreziosisse gli scritti.
Le dodici tavole, i vecchi trattati di pace,
i libri de’ponteiicij, dettati si credevano dal-
 
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