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Archivio storico dell'arte — 1.1888

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Fasc. II
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Ricci, Corrado: Lorenzo da Viterbo, [1]
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Fasc. III
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Venturi, Adolfo: Gian Cristoforo Romano, [1]
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https://doi.org/10.11588/diglit.17347#0108

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LORENZO

DA VITERBO

uanti sanno in Italia che è vissuto un Lorenzo da Viterbo che
ha lasciato a venticinque anni un'opera di pittura tanto mirabile
da meritargli uno de' primi posti nella storia dell'arte italiana?

Di fronte a una porta di Viterbo detta altre volte dell'Abate
e di S. Matteo, dischiusa tra le fosche cortine e i bastioni a
merli fra i più caratteristici che mai cingano città italiana, sor-
gono la chiesa di Santa Maria della Verità e il convento già
abitato dai Padri Serviti. La chiesa è soppressa : il convento è
convertito in scuole, ma la poesia del luogo, per le leggende
popolari, per la solitudine e per l'antichità dei monumenti circostanti, scuote profondamente l'a-
nimo dei pochissimi forestieri che si recano a Viterbo.

La leggenda che diede nome di Verità alla chiesa de' Serviti è semplice e devota. Nel bel
maggio del 1446, mentre tre fanciulli di circa dieci anni pregavano innanzi un'imagine della
Vergine, che vi si trovava dipinta in una tavola di legno, la Madonna vestita di bianco ap-
parve sull'altare fra due angeli e incominciò a cantare preghiere con loro. « Li mammolini,
sbigottiti, fuggirno gridando e annunziando la detta cosa » l. Però non furono creduti, anzi
furono derisi. Ma poi « ponendo cura nel viso della figura della nostra Donna... viddero ver-
sare dal viso a poco a poco gocciole di sangue ». La leggenda crebbe per virtù degli stessi
avversari, fra' quali un frate. Uno dei tre fanciulli « il figlio di Giovanni da Rezzo, non
fuggì, ma rimase dentro a vedere, e disse che la Nostra Donna lo chiamò, e lui andò innanzi
colle braccia piegate, e vidde sempre nel detto altare la detta donna vestita di bianco, che si
spicciava il viso e teneva una frusta in mano ».

Il Giani, no' suoi Annali della Religione dei servi di Maria citati dal Bussi, e il Bussi
stesso 2, quantunque dichiarino di seguire il vecchio cronista viterbese, ampliano la storia '
aggiungendo che il « vescovo per chiarirsi di un fatto di tanto rimarco, prese per espediente
di atterrire i fanciulli con minaccie, e con isferzate, acciocché desistessero da tali assertivo, a
cui gli stessi con sempre maggior fermezza replicando, che quello che dicevano era la ve-
rità, da queste loro parole fu pigliato motivo di denominare in appresso non meno l'imaginc
che la chiesa di Santa Maria della Verità ».

1 Cronache e statuti della città di Viterbo, pubblicati ed illustrati da Ignazio Ciampi. Firenze 1872, in-4°. -
V. a pag. 203 della cronaca di Viterbo di Nicola della Tuccia.

2 Istoria della città di Viterbo di Fkliciano Bussi. In Roma, 1742. In fol., 247.
 
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