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Archivio storico dell'arte — 1.1888

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Fasc. V
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Venturi, Adolfo: Gian Cristoforo Romano, [3]
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https://doi.org/10.11588/diglit.17347#0248

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154

GIAN CRISTOFORO ROMANO

Pensa l'Armami che la medaglia d'Elisabetta Gonzaga, moglie del duca di Urbino, appartenga
al nostro artista, come pure quella di Emilia Pia di Montefèltro. 1 La prima porta nel diritto il
busto della Duchessa, con la scritta ELISARET ■ GONZAGA ■ FELTRI A • DVCIS ■ VRBINI; nel
rovescio una donna in letto, in atto di guardare la fortuna fuggente, e la leggenda HOC ■ FU-
GIENTI • FORTVNAE • DIGATIS. La seconda medaglia ha nel diritto la testa di Emilia Pia, e la
iscrizione AEMYLIA PIA FELTRIA; nel rovescio, una piramide sormontata da un'urna cineraria,
e le parole GASTIS ■ GINERIBUS.

Certo è che Gian Cristoforo era artista tenuto in gran conto e come familiare alla corte di
Urbino, e non è improbabile che egli veramente le eseguisse, anche tenuto conto del carattere
delle medaglie e delle teste simili nell'acconciatura al busto di Beatrice d'Este. Scrivendo egli a
Pietro Bembo, da Loreto, ov'era verso la fine del 1510, chiamava quella corte un tempio de vera
castità et onestà e pudicitia; pregava il Bembo a ricordarlo alla duchessa, a Emilia Pia, a Mar-
gherita e a Laura, per le quali, e per la corte urbinate, e per l'assunzione dell'arcivescovo di Sa-
lerno al cardinalato, egli soleva pregare ogni giorno nella Santa Cappella della Vergine di Lo-
reto. Lo scultore che a Milano prendeva tanto interesse alla salute di un'amica d'Isabella d'Este,
a Loreto raccoglie, con l'avidità d'un oratore principesco, con la fedeltà d'un cronista, gli avve-
nimenti del giorno, scandali amorosi, notizie di guerre, passaggi di duchi, piraterie turchesche. 2

1 Armand, t. Ili, p. 202.

2 Arch. sudd. — Rub. E. XXV. 3.

Al Mag.00 Mes.r Piero Bembo in Corte de lo Ill.mo Sr ducha de Urbino

in Urbino.

Per fede che io son vivo e per far parte del debito quale io ho con V. M. Mes.r piero mio hono.mo fo questa
e se prima non ò scritto ne è stata causa li tempi rovinosi che qui sono stati poi la agiunta mia in questo
santo loco, cioè quanto tiene il tempio el resto bestialissimo quanto si può dire, e perche poi non gliè stata cosa
di memoria salvo al presente avenga chio creda che quelle Ill.me duchesse lhabino inteso, pure io non restarò
de darne aviso a V. M. per esserne io bene informato e per più contento vostro e mio e de tutti quelli che sono
servitori a quella Ill.ma duchessa durbino el resto di sua corte dove veramente si può chiamare un tempio di
vera castità et onestà e pudicitia, da laltra parte mi duole che tale sfrenata e disordinata voluptà sia acascata
nel sangue di ragona per essere sua S. R.ma gentile al possibile maxime havendo chierica et la duchessa di
malti e oltra a questo contessa di celano sorella carnale del card.le di ragona essendo restata vidua circa 6 anni
con un solo figliolo beli."10 con intrata di 16 milia ducati lanno libera governatrice del tutto fece li doi primi
anni de la sua viduanza tal vita che non solo li soi servitori ma tutto il resto del regno la tenevano sancta,
poi gionse in sua compagnia una dona giuvanna sua cugnata donzella cioè senza marito molto bella e qui co-
minciorono a mutare vita, in quel tempo gli capito lo barone de marzano loro parente e gentilissima persona
quale era in sua compagnia uno antonio da bologna ma nato in napoli, el patre de lo segio de la montagnia de
bassa conditione quali erano stati svaliciati lui el barone e per il parentato furono da le dui donne revestiti
questi doi la duchessa vesti questo antonio poi lo piglio per suo mastro di stalla e le cose andarono tanto inanti
che lo piglio per stallone, e l'altra dona giuvana se inamoro de un gaspare de tiraldo pur napoletano ma non
eguale a lei el quale quanto lei era bella tanto lui era brutto ed io lo visto a napoli, vero è che cantava bene
a la napoletana. Le cose andarono cosi che ogni persona se nacorgeva, el barone sopraditto com bel modo co-
minciò a riprendere ditte donne come vero parente e volevane fare vera denstratione al fine fra poco tempo fu
avelenato e morì. La duchessa piglio per marito el ditto antonio e ottenne un breve dal papa che lo potessi
tenere oculto tre anni ditto matrimonio e cosi glia fatte doi figliole ocultamente più che la possuto poi se in-
gravido, e vedeva de non possere tenere la cosa più celata e ordinorono chel marito non volesse più stare in
quelle parte et tolse licentia impublico come servidore e che voleva andare a vedere del mondo e tornare a larte
militare e cosi separtì con belli cavalli e cariagi e venne in ancona e li si fece asicurare e tolse un bel palazo
a fitto e quello forni di quanto bisognava e poi aviso lamica. In quel mezo la duchessa haveva dato voce de
volere andare a S.a maria delloreto a sadisfare un suo voto e cosi se mise in ordine di portare con lei quanto
posseva con dire chella voleva andare onorevole e molti cariagi e donzelle e servidori meno con lei, quando fu
giunta a loreto trovo li un terzo mandato da lamico e comincio a dire, signore el ce qui apresso unaltra bella
divotione e poi che V. S. è qui faresti bene a vedere ancona e quel suo bel porto, lei rispose essere contenta e
cosi se avio verso ancona e andò la sera a logiare a un castelleto che si chiama el pogio che è dancòna e li
trovo lamico che haveva preparato el bisogno e la notte rifermorono el matrimonio con gran festa e piacere,
 
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