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Archivio storico dell'arte — 1.1888

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Fasc. VIII
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Frizzoni, Gustavo: La quinta edizione del "Cicerone" di Burckhardt anno 1884
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https://doi.org/10.11588/diglit.17347#0399

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GUSTAVO FRIZZONI

293

a quelli già acquisiti dal prof. Gnoli colle notizie pubblicate intorno all'attività di Donatello in
Roma, intorno alla casa di Rafaello, e via dicendo.

Nella divergenza esistente fra i due critici tedeschi quanto all'autore di una cupoletta nella
chiesa di San Biagio a Forli (a destra, a canto l'ingresso), crediamo stia in errore la quinta edi-
zione del Cicerone, la quale, invece di costatarvi, com'era stato ammesso nella seconda edizione,
la mano di Melozzo, che si rivela co' suoi arditi scorci, se non altro per la stretta analogia con
simile sua opera anteriormente eseguita a Loreto, persiste ad attribuire l'esecuzione in tutta la
cappella alla mano del suo allievo Marco Palmezzano, artefice d'ingegno tanto inferiore da non
aversi a confondere col maestro (p. 598). 1

Che se il Palmezzano si compiacque indicare la sua relazione col medesimo fino a segnarsi in
un quadro col nome di Marcus Demelotius (sic) (quadro conservato oggi nella pinacoteca comu-
nale di Forli), altra volta assunse il nome di Marco Valerio Morolini. Il motivo non lo conosciamo;
crediamo tuttavia che il nuovo Cicerone s'inganni quando in proposito segue le indicazioni degli
scrittori locali, prendendo per autore distinto dal Palmezzano quello che si segna col nome di Moro-
lini, laddove le opere rispettive presentano tanta identità di tipi e di esecuzione da accusare, se
non andiamo errati, sempre la mano dello stesso artista.

Vieppiù giustificati appariscono gli appunti critici ai quali non saprebbero sottrarsi alcune in-
formazioni concernenti quel valentuomo che fu il pittore Lorenzo Costa. Infatti deve recar meraviglia
come mai un così esperto conoscitore quale il dott. Bode abbia potuto additare la mano del Costa
in opere cosi disparate fra loro, quali il San Girolamo in trono della cappella Castelli in San Pe-
tronio a Bologna e nella cappella Marsili quivi la tempera del San Sebastiano martirizzato, più
le due tele coli''Annunciazione ai lati dell'altare, le quali, per quanto spetta se non altro al disegno
eletto delle due figure, rivelano sensibilmente la mano del Francia, come già, d'altra parte, con fino
intendimento fu avvertito (p. 621).

Ad un altro ordine di considerazioni è dovuta la manifestazione di certa prediletta teoria d'in-
fluenze artistiche, messa in voga, principalmente dalla Storia della pittura del Cavalcasene. Che
le ultime edizioni del Cicerone vi abbiano aderito assai più dell'opera originale del prof. Burck-
hardt è cosa non meno evidente che naturale. Mentre nelle pagine anteriori tale teoria fa capolino
nella importanza attribuita a Pier della Francesca per la pretesa, ma, a quanto ci pare, sempre
problematica o per lo meno limitata influenza sulla scuola di Ferrara, a Giusto di Gand per quella
esercitata su Melozzo, venendo al Costa, il Bode vuole rilevata in proposito della sua nota ancona
dell'Asstenta cogli Apostoli in San Martino di Bologna la maniera umbra, onde la trova forte-
mente improntata; preoccupazione questa non dissimile da quella (se ci si passa il paragone) di chi
non ben pratico dei dialetti parlati nel nostro paese non riesce a distinguerne appieno le analogie
e le differenze.

Lasciando da parte certa congettura colla quale volge il pensiero al presunto ritratto d'Isabella
d'Este nella tribuna degli Uffìzi là dove segue il Costa nella sua dimora a Mantova, non sappiamo
d'onde abbia ricavato la nuova, che il medesimo in detta città avesse eseguito singoli quadri per
la sua città natale. Oggidì è certamente noto d'altronde al dott. Bode che il solo esempio col quale
egli vorrebbe confortare la sua asserzione non è altrimenti sostenibile, riferendosi ad una pala
appartenente all' ateneo di Ferrara (Madonna con due Santi), quivi registrata, bensì per opera di
Lorenzo Costa, ma dai migliori conoscitori tenuta d'altra mano, che accenna la sua derivazione
da Modena, come lo accenna un particolare del quadro stesso, quello, ciò è a dire, del santo vescovo
a lato del trono della Vergine, che regge un modello di città dove si distingue il caratteristico cam-
panile del duomo di Modena, comunemente chiamato il campanile della Ghirlandina.2 A quella
osservazione inoltre ci pare vi sarebbe da contrapporre il riflesso, che mentre a Ferrara nulla

1 Va tenuto conto però in questo luogo della circostanza, che solo da breve tempo una nuova finestra praticata in detta
cappella è venuta a rischiararla convenientemente e a mettere in evidenza gli affreschi della cupola. L'avvertenza di tale
vantaggio non ha impedito però il dott. Schmarsow, nel parer nostro, d'ingannarsi là dove egli vorrebbe rivendicare a
Melozzo anche i putti nei pennacchi e la lunetta sotto la vòlta.

2 Vedasi in proposito l'articolo di Adolfo Venturi nel Jahrbuch der K. preussischen Kunstsammlungen, a. 1887,
Heft II u. III.
 
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