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Archivio storico dell'arte — 1.1888

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Fasc. XI
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Recensioni e cenni bibliografici
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https://doi.org/10.11588/diglit.17347#0581
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RECENSIONI E CENNI BIBLIOGRAFICI

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Rossi, il Muntz si stende più ampiamente sui docu-
menti in proposito, scoperti dopo la pubblicazione
del libro testé accennato, in ispecie su due rappre-
sentazioni iconografiche, a volo d'uccello l'una, pro-
spettica l'altra, messe nuovamente in luce da lui
stesso. La prima fu ritrovata da lui fra le miniature
di uno dei numerosi libri di preghiera (livres d'heu-
res) del duca di Berry, fratello del re Carlo V di
Francia e notissimo raccoglitore di cose d'arte, ma-
noscritto, che non ha guari, era entrato nelle colle-
zioni preziosissime del duca d'Aumale nella son-
tuosa sua residenza di Chantilly, offerta di recente
dal possessore, vero dono principesco, all'Accademia
di Francia. L'origine di questo celeberrimo fra gli
Uffici francesi, non è posteriore al 1416, anno della
morte del duca di Berry, anzi più probabilmente ri-
sale alla fine del secolo xiv. La pianta di Roma, di
forma circolare, contenuta fra le sue miniature, ne
occupa il foglio 140. Fra le iconografie, pubblicate
nell'opera del de Rossi, non ce n'è altra che mostri
qualche analogia nella orientazione con essa, oltre
quella contenuta in un manoscritto di Tolomeo nella
biblioteca Nazionale di Parigi (fondo lat. n. 4802) la
quale, giusta gli argomenti addotti dall'autore citato,
risalirebbe a un originale eseguito fra il 1455 e il
1464. Delle altre piante di Roma, ritrovate dopo la
pubblicazione del libro del de Rossi, quella nella
cappella del palazzo Pubblico di Siena, dipinta nel
141*3 e 1414 da Taddeo di Bartolo e scoperta di re-
cente dal signor H. Stevenson, fa riscontro alla nostra.
Tutte e due, non v'ha dubbio su questo punto, trag-
gono origine da un archetipo comune, oggidì smar-
rito, il quale nei particolari è stato più o meno mo-
dificato, secondo i gusti e le convenienze diverse del
pittore o del miniatore. In generale la pianta di Siena
è più particolareggiata, più esatta e compiuta, deli-
neata con maggior studio; quella del duca di Berry
è eseguita colla più grande nitidezza sì, ma pure con
estrema inesattezza d'interpretazione. Inoltre, il mi-
niatore del duca di Berry si fece poco scrupolo di
omettere alcuni dei principali monumenti della Città
Eterna, come p. e. i cavalli del Quirinale, di sfigu-
rarne altri stranamente, p. e. il Pantheon. Pochi so-
lamente, come la piramide di Cestio, il castello
S. Angelo, il monte di Giordano Orsini e il mausoleo
di Augusto, sono riprodotti nella sua pianta con
maggior fedeltà di quella che hanno nell'affresco di
Taddeo Bartolo.

Il secondo documento iconografico che il Muntz
fu il primo ad indicare all'attenzione degli eruditi,
si è la veduta di una parte della Città Eterna, con-
tenuta nel fondo di uno degli affreschi di Benozzo
Gozzoli, eseguiti nel 1465 sulle pareti del coro della
chiesa di S. Agostino in S. Geminiano. Il carattere
della rappresentazione qui è tutto diverso da quello
degli altri panorami di Roma, i quali, in generale,
riproducono modelli iconografici del secolo xiv;

mentre in questi si trovano delineate solamente le
fabbriche principali antiche e cristiane, isolate dal-
l' ingombro delle case civili, di sorta che ne spicchi
chiaramente l'intento antiquario. Il prospetto del
Gozzoli prosegue un tutt'altro scopo, cioè di raffi-
gurare una parte della città nella sua attualità in-
tera, di ritrarne una parte al naturale, sicché dob-
biamo riconoscere in esso una delle prime vedute
di Roma, nel senso moderno della parola, che ci siano
pervenute. Però, ne dovevano essere state eseguite
una quantità di simili rappresentazioni nel corso del
quattrocento, e il Muntz stesso ne adduce due testi-
monianze dal Vasari, in cui questi parla di duepro-
spettive di Roma, dipinta l'una da Giov. Bellini nel
palazzo Ducale di Venezia, l'altra dal Pinturicchio
nella loggia del Belvedere di Innocenzo Vili papa.
Vi sarebbe da aggiungere una rappresentazione con-
simile, esistente tuttora nel palazzo Pubblico di Siena,
cominciata nel 1408 da Spinello Aretino e perciò più
antica di quelle del Bellini e del Pinturicchio. An-
che nell' inventario di Lorenzo de' Medici, pubblicato
testé dal Muntz, si riscontrano due passi che sem-
brano riferirsi al soggetto in questione : « una carta
dentrovi Roma » e « uno colmo di br. 1 l/2 dipin-
tavi una Roma fior. 20 ». Cogliendo occasione dalla
rappresentazione della così detta Meta di Romolo,
che si trova pure raffigurata nell'affresco del Goz-
zoli, il Muntz, dopo aver riprodotto le testimonianze
in proposito di Lucio Fauno, di Bernardo Ruccellai
e dell'Albertini, fa comunicazione di un breve fin
qui inedito di Giulio II, emanato nel luglio 1512, dal
quale si desume che gli ultimi vestigi di questo
monumento, fatto demolire nel 1499 da Alessandro VI
papa, non disparirono prima dell'epoca del breve
suindicato.

Nel soggetto del primo studio del presente libro
entra pure, almeno in parte, l'ultimo saggio, che si
intitola: « Notizie sopra una raccolta di disegni del
xv secolo, rappresentanti i principali monumenti di
Roma »; inquantochè fra i fogli di questo libro di
schizzi d'uno degli architetti della fine del quattro-
cento, conservato nella biblioteca deH'Escuriale, se
ne trova pure uno col prospetto della Città Eterna.
Il Muntz, dopo la pubblicazione del suo libro, ne ha
presentato una nota, accompagnata da riproduzione
fotografica, all'Accademia dei Lincei (seduta del 22
gennaio 1888). Egli ci rivela che il prospetto in que-
stione sia stato eseguito fra gli anni 1491 e 1499, e
che rappresenti, presa in modo abbastanza libero
dal naturale, una veduta della città che si stende dal
Pantheon fin al palazzo Vaticano, veduta in tutto
indipendente dalle rappresentazioni anteriori, e per-
ciò porgente nuovi elementi di studio per la topo-
grafia di Roma nell'epoca indicata.

I documenti che l'autore ha riuniti nel secondo
saggio della presente opera, intitolato: Imonumenti
antichi di Roma all'epoca del Rinascimento, fanno
 
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