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Archivio storico dell'arte — 2.1889

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Fasc. III-IV
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Venturi, Adolfo: Il gruppo del Laocoonte e Raffaello
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https://doi.org/10.11588/diglit.17348#0132

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ADOLFO VENTURI

auliche figure del Nilo e del Tevere uscivano gorgogliando le acque di due fonti bellissime; e
all'ingresso del giardino, in due cappelle simili, vedevahsi l'Apollo e il Laocoonte.

Al Belvedere tutti accorsero a vedere e a rivedere la nuova meraviglia. Vi troviamo Gian
Cristoforo Romano e Michelangiolo rilevare l'inganno in cui Plinio era caduto, scrivendo che la
statua fosse tutta di un pezzo « ex imo lapide. » I due artisti osservarono « circa a (piai Irò com-
mettiture, ma congiunte in luogo tanto nascoso, e tanto bene saldate, e ristuccate, che non si
possono conoscere facilmente se non da persone peritissime nell'arte.» E « però dicono,» soggiungeva
Cesare Trivulzio, « che Plinio s'ingannò o volle ingannare altri per rendere l'opera più ammirabile.
Poiché non si potevano tener salde tre statue di statura giusta, collegate in un sol marmo, con
tanti, e tanto mirabili gruppi di serpenti, con nessuna sorla di si romeni i. » Con gli artisti, i poeti
si unirono a levare a cielo il classico gruppo: il Sadoleto lo mostrò né'versi suoi che furono giu-
dicali pari alla rodiese opera, un prodigio d'arte, di cui non videro gli antichi monumento più
splendido, salutato quasi nuovo cittadino dalla gloriosa Roma risorta. E ne descrisse con potenza
mirabile, con analisi penetrante e tutta moderna, il movimento del gruppo. In coro col Sadoleto
altri cantarono l'opera illustre, e sin dal giugno del 1506, Cesare Trivulzio inviava intorno a quel
soggetto parecchie composizioni a Milano, e vi univa un suo epigramma, da lui detto modestamente
piombo fra le gemme. Porse esso è l'epigramma, che si legge nella miscellanea manoscritta del
Colocci nella Vaticana, 1 e in cui si richiama il ricordo della rovina allora succeduta della casa
Bentivoglio. 2 Un'altra delle poesie, di cui il Trivulzio non nomina l'autore, si è l'orse pur quella
della stessa raccolta in cui Laocoonte dice che Pallade, non sazia nell'ira sua, volle che Laocoonte
vivesse nel marmo pario perennemente in martirio. ;!

Non venne meno in seguilo quell'entusiasmo. Il giovinetto Federico Gonzaga, ostaggio alla
corte di Giulio II, meditò di far dono del gruppo alla madre sua, alla marchesana di Mantova,
sapendo (inalilo l'avrebbe tenuto caro come cosa excellentissimà et opra dirina. 1 Francesco I, il
re cavalleresco, quando s'incontrò con Leon X a Bologna, gli chiese il gruppo; e il Papa glielo
promise, ma poi deliberò di mandargli una copia.5 Lo stesso pontefice dava liberamente nuovi
uffici, in sostituzione degli antichi, al De Predis e a suo figlio." Nell'epigrafe sepolcrale dello sco-
pritore, in Sanla Maria d'Arneodi, si accennò alla scoperta del Laocoonte e all'immortalità por

1 Pierre de Noi.iiac, La bibliothèque de Fulvio Orsini.
Contribution A l'histoire des collactions d'Italie et à
l'elude de la Renaissance. Paris, Vioweg, 1887. - Parecchi
scrittovi, non avendo lotta attentamente la lettera di
Cesare Trivulzio, affermarono che il Sannazaro e il fìe-
roaldo scrissero versi sul Laocoonte.

2 Miscellanea, vat. 3351, fol. 106 v. e 107;

LAOCOON LOQVITVR

Numinibus similos Reges timeantùr, amentur
Nomina no tedes te mea pcena monet.

Sat tibi si nostri non sunt esempla doloris
Bentivote gentis prona mina docot.

3 Ib., fol. 97:

Laocoon in 'riti imperatoris domo repertus; - (Inlio II
Pontifico Maximo) Àgesandri: Polidori: Àthenodori Rho-
diorum opus.

Laocoon ego som: sic me torà plectit Athena
Quoti mei. palladium doxtera Posit cquum.

At patriie me vicit amor; sed si mea sunt htec
Crimina, cur natia est dea facta nocens?

Nec tantum hoc iram satiat; sit pcena perennis
Ut mea sub pario mai-more vivat, ait.

Dicos; me aspicias(aspi'ciens?): veros lapidi esse dolores:

Et natis haud fictum exitium, atque metum.
Innumeros nexus, spirasque evello draconum

Spoetator, nisi te terret uterque draco.
Si, mortem atque metum Saxo : vivumque dolorerei

Qui dederunt, possent vocem animamque dare,
Abnuerent: minun magis est sine voce animaqne

Niti: forre: quere: fiere: timore: mori.
At sic, Palladii frustra nos perditis hydri

Punì nocuisso cupit Pallados ira iuvat.
Indignimi fuerat patria? superesse minte

Sed dìgnum fuerat cimi patria oppetere
Unum Agésander Polydorus Athenodorus

Laocoontom sumpsorint.
Ilio jovem a magno pinxit,* sumpsit homero:

Sic doderat Rhodiis Laocoonta Maro.
(* Il pinxit è sottosegnato, ed ha sovrapposta la pa-
rola fedi).

4 A. Luzio, Federico Gonzaga ostaggio alla corte
di Giulio II. Roma, 1887, p. 10.

r' Altieri, Relazioni ài. - Gregorovius, Storio,della
città di Roma, vm-103.

8 II documento è riprodotto in varii luoghi, o fra
gli altri nel « Bulletin de VInstitut de corr. archéolo-
r/ique » (1807, p. 190), A. von Zahn.
 
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