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Archivio storico dell'arte — 2.1889

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Fasc. III-IV
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Carotti, Giulio: Vicende del duomo di Milano e della sua facciata, [1]
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https://doi.org/10.11588/diglit.17348#0151

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VICENDE DEL DUOMO DI MILANO E DELLA SUA FACCIATA

119

Il sistema direi Ilvo, l'ingerenza dei deputati, poco o punto competenti nell'arte dell'edificare,
l'intrusione nelle adunanze e discussioni di tutti i maestri, artisti ed operai addetti alla fabbrica,
recarono effetti dannosissimi. Le discrepanze si accentuarono, le discussioni non fecero che accre-
scerle. Si credette di trovare un rimedio nel chiamare a consulto, ed anche alla dirigenza dei
lavori, architetti di altre regioni ed anche stranieri. Quanti maestri eran noti per importanti costru-
zioni, o capitassero in Lombardia, erano chiamati e trattenuti ed alcuni furono ricercati affidan-
done ad altri la scelta. Ma il rimedio fu (masi sempre peggiore del malanno. I costruttori del
duomo, eredi e tenaci conservatori del sistema edilizio della propria regione, per quanto ligi
e quasi incoscienti della lenta trasformazione dello stile lombardo, non si acconciavano punto
colle teorie e pratiche dei maestri estranei, i quali alla lor volta non comprendevano affatto né
sapevano punto valutare la razionalità di uno siile e ili pratiche costruttive proprie della regione
lombarda.

Lo spettacolo non fu edificante, la tenacità, la cocciutaggine e l'astio spadroneggiarono in
entrambi i campi.

Il primo maestro estraneo che appare è Andrea degli Organi, da Modena, architetto ducale;
fa degli studi, dà dei consigli, di cui non risulta siasi tenuto gran conio.

Un francese apre la serie dei maestri stranieri. Nicola de Bonaventis di Parigi, viene nel 1389,
appunto nello stesso anno in cui Gian Galeazzo sposa la sua figlia al re di Francia, il che fa
ritenere sia stato consigliato dal duca. Eletto ingegnere generale della fabbrica il Bonavenluri,
fa opere di scoltura e disegna uno dei lìnestroni dell'abside, che fu poi il tipo degli altri fine-
stroni, cosicché, più scultore che architetto, egli incominciò ad ispirare nel duomo un qualche
elemento gotico d'oltralpe. I deputati però già ai primi di agosto del 1390 decidono di cassarlo
e nel settembre parrebbe che egli se ne sia andato alla chetichella.

Un Johannes de Firimborg magister a lapidibus vivis, che già nel 1390 lavorava coi suoi
soci alla cornice superiore della chiesa, si fece animo in una delle discussioni generali dell'anno
successivo ad accennare ad errori e dubbi nei lavori della fabbrica. I deputati tosto gli parificarono
il salario a quello degli ingegneri e gli ordinarono di porre in iscritto cotesti errori e dubbi. Alcuni
ingegneri furon incaricati di prenderne esame e la conclusione essendo stata sfavorevole, il Gio-
vanni di Firimburg perdette e il grado d'ingegnere e la modesta sua carica, che egli venne
senz'altro cassato dal servizio della fabbrica.

Lo scultore campionese Giovanni Fernach 1 si era offerto di recarsi a Colonia e condurne un
massimo ingegnere, i deputati scrivevano pure invitando Enrico di Einsingen : ma nò questi, nò il
maestro promesso dal Fernach comparvero. Capitò invece Enrico di Gamodia (Gmund) e fu trat-
tenuto e cominciarono le discrepanze, gli screzi maggiori.

Dirigevano la fabbrica Simone da Orsenigo, Giacomo Campione, Tavannino da Castelseprio,
ad essi dopo alcuni mesi si aggiungeva pure Giovanni de' Grassi; Matteo Campione veniva ad
intervalli da Monza ; un'apparizione l'aveva pur fatta il geometra Stornaloco di Piacenza, partito
lasciando un diagramma che determinava geometricamente l'altezza a cui doveva sorgere il duomo,
dato lo sviluppo della sua pianta. 2

Enrico di Gamodia pensava e vedeva da maestro tedesco, al punto che proponeva ili demolir
tutto e ricominciare da capo.

Fu tenuto un vero congresso di tutti i maestri e fu mandato a prendere a Verona il maestro
Giovanni da Ferrara, e fu pur chiamato l'arcbitetto del duca, Bernardo da Venezia.

La seduta fu tenuta il 1° di maggio del 1392 e ben si può dire che fu decisiva per la costru-
zione e lo stile del duomo. Euron fatte discussioni e prese decisioni sulle singole parti dell'edificio;
e fu pur discussa la saldezza e la portata dei muri laterali e posteriori, dei piloni del liburio e

1 Como dimostrai nel mio volumetto il Duomo di
Milano e la sua facciata (con ili. - Milano, Bortolotti,
1888) il Fernach non fu architetto, ma solo scultore o
nonostante il suo nome straniero ora campionese.

2 Di questo diagramma trattarono specialmente, il

conte Ambrogio Nava nelle citato memorie, Giuseppo
Morigeri nollo scritto : Per la facciata del Duomo,
Milano, 1887, e Luca Delirami nella III parte della sua
pubblicazione: Per la facciata del Duomo di Milano,
Milano 1887.
 
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