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Archivio storico dell'arte — 2.1889

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Fasc. VII
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Müntz, Eugène: Andrea Mantegna e Piero della Francesca: studio sulla predella della pala di San Zeno nel Museo del Louvre ed in quello di Tours
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https://doi.org/10.11588/diglit.17348#0315
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ANDREA MANTEGNA E PIERO DELLA FRANCESCA

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tegna, seguendo un realismo molto poco opportuno, le ha volute disegnare storte, come nel nostro
dipinto, nell'uomo che porta lo stendardo. Questa affettazione si manifesta anche nel modo di trat-
tare i più minuti particolari: per esempio il suolo screpolato è trattato con tale minuziosa cura
da far invidia a un Gerardo Dow o a un Pietro de Hooghe. Anche il colorito offre da canto suo
argomento alla critica, e sopra tutto il colore delle carni è d'un rosso mattone sgraziato; questo
difetto però nei lavori seguenti dell'artista non tardò a scomparire.

Nelle sue opere il Mantegna mostra avversione a seguire le vie battute da altri artisti; le sue
composizioni, ad eccezione di due o tre, sono profondamente originali e mostrano con quale potenza
egli sapesse dar nuova vita ai soggetti in apparenza più usati. Uno di questi soggetti, e dei meno
felici, il Cristo nell'orto, aveva tentato molti artisti prima di lui; non pochi ne furono tentati anche
dopo, e perfino il Perugino; ma tutti vennero meno nell'ingrato compito.

Vediamo come l'artista padovano abbia concepito la composizione. Il Cristo e i tre discepoli
addormentati, convien riconoscerlo, sono ben poco per un quadro storico, tanto più che su quattro
personaggi tre sono immersi nel sonno e perciò estranei all'azione; lo stesso Cristo è assorto in
estasi nè la sua muta preghiera potrebbe dar vita alla scena. Il Mantegna ha sacrificato il tema
principale. Un immenso paesaggio, nel quale si vede in fondo a sinistra su d'una montagna Geru-
salemme, una Gerusalemme ideale, piena di magnifici edifìzi; a destra delle rupi con alberi poco
folti, aranci, allori (nemmeno un ulivo); tale è il fondo del quadro. A destra, davanti, vedonsi itre
discepoli che giacciono addormentati nelle più strane posizioni; l'uno è steso sul ventre, il seconda
giace supino con le gambe ripiegate, il terzo rannicchiato; più indietro e più in alto il Cristo, una
figura dai lineamenti stanchi e invecchiati, che prega fervorosamente mentre un angelo scende dal
cielo verso di lui; in fine, sulla via che viene da Gerusalemme, Giuda s'avvicina alla testa dei sol-
dati: ecco i tratti principali di questa composizione strana, piena di effetto, interpretazione stret-
tamente realistica del testo dei vangeli.

In questa pittura vi sono dei segni d'una valentia prodigiosa ; si potrebbero contare i ciuffi d'erba,
le pietre e perfino i ciottoli della strada; e ciò non di meno tutto l'insieme brilla per armonia e
per grandezza. La veduta prospettica, coi personaggi microscopici che si vedono a distanza, non
ha nulla da invidiare alla Madonna col committente, il capolavoro di Van Eyck esposto nella sala
quadrata al Louvre. Per dire la mia vera opinione, il paesaggio assorbe le persone, l'accessorio fa
dimenticare il principale; ma la scusa che si può invocare per il Mantegna, il quale non esitava
all'occasione a prendere il toro per le corna, è la difficoltà di dare al soggetto ch'egli si era im-
posto una interpretazione veramente plastica.

Finora non si aveva la prova della stretta relazione che passa fra il Mantegna e quell'artista
che insieme con lui, nel secolo xv, portò al più alto grado di perfezione la scienza della prospet-
tiva, quella scienza che era chiamata a dar una vita del tutto nuova alla pittura, intendo dire
Piero della Francesca. Ciascuno di essi sembra si sviluppasse affatto indipendentemente dall'altro;
e difatti Piero della Francesca mira alla prospettiva aerea, mentre il Mantegna spinge fino all'ec-
cesso la ricerca della prospettiva lineare. Tuttavia fra i due grandi artisti v'è un punto di contatto,
ed esso ci si mostra in uno dei frammenti del museo di Tours: basta confrontare il Cristo dell'af-
fresco dipinto da Piero l'anno 1445 sulle pareti del palazzo comunale di Borgo San Sepolcro, col
Cristo del Mantegna, per vedervi subito una imitazione volontaria, calcolata; e questa volta l'imi-
tatore è il Mantegna, il cui quadro fu dipinto, come abbiamo veduto, circa dodici anni più tardi,
fra il 1457 e il 1459. 1

Il Mantegna s'era famigliarizzato molto rapidamente con le tendenze e coi progressi della
scuola fiorentina, e ciò in causa del soggiorno che Donatello ed i suoi scolari avevano fatto a
Padova. Mi sarebbe facile trovare moltissime prove di questa influenza, se non l'avessero già fatto

1 Un Cristo che ha una vaga somiglianza con quelli chiesa dei Frari a Venezia; questo bel bassorilievo, che
di Piero vedesi sulla tomba del beato Pacifico nella mostra ancora l'influenza gotica, fu eseguito nel 1437.
 
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