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Archivio storico dell'arte — 2.1889

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Fasc. VIII-IX
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Recensioni e cenni bibliografici
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https://doi.org/10.11588/diglit.17348#0423

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RECENSIONI E CENNI BIBLIOGRAFICI

me che la faccia posteriore di esso fosse destinata a
rimanere addossata ad una parete, onde viene alla con-
clusione che durante il secolo xiv il sarcofago, pur rima-
nendo prope altare, poteva trovarsi addossato alla parete
di fondo della cappella ingrandita al principio di quel
secolo. Nella prima metà del secolo xv, cioè nel 1444,
la cappella fu decorata di pitture, e poiché, lungo tutto
lo sviluppo delle sue pareti, la zona inferiore di esse
dista dal pavimento soltanto m. 1,10, misura minore
dell'altezza del sarcofago, è chiaro che, forse in quell'oc-
casione, e probabilmente per dare una forma più deco-
rosa alla tomba della regina, forma che fosse più in
armonia colla nuova o splendida decorazione pittorica,
si ricorso al provvedimento di trasportare provviso-
riamente il disadorno sarcofago fuori della cappella.
Nella circostanza del rinnovamento, ora compiuto, del
pavimento, oltre ad altre scoperte che servirono a sta-
bilire la disposizione originaria della cappella, si fece
pur quella che venne a determinare la posizione della
tomba e dell'altare al quale essa era vicina, prima di
essere asportata. Stando alla tradizione popolare, il tras-
ferimento della tomba fuori della cappella sarebbe av-
venuto nella seconda metà del secolo xvi, por ordino
di S. Carlo Borromeo, in conformità alle disposizioni
del Concilio Tridentino. Il Beltrami non trovò nessun
documento che suffragasse la tradizione: la tomba poi
della regina, essendo marmorea ed alta sopra il suolo,
non cadeva nelle prescrizioni De Sepulcris adottate nei
Concilii provinciali I, IV e V; o nel caso che la
tomba fosse stata posta, nella sua remozione, alquanto
discosta dalla parete, non vi sarebbe stato scrupolo, nel-
l'ultimo quarto del secolo xvi, ad addossarvela anche a
danno di una parto de' dipinti, so dalle prescrizioni si
ricavava esser necessario (come appare da un passo
della lettera della S. Congregazione Episcopale e Regol.
al vescovo di Mantova, in data 13 ottobre 1570, riportato
pur dal Beltrami) che i monumenti per restare al loro
posto, aderissero ai muri o alle colonne. Un altro
passo della lettera citata potrebbe mettere in dubbio
la regolarità della tomba della regina rispetto allo
prescrizioni De Sepulcris: vi si dico infatti che si de-
vono togliere i cadaveri dai luoghi alti: ma ciò varrebbe
sempre in qualunque luogo della chiesa la tomba fosse
stata posta. Non si può dunque concludere che la sepol-
tura sia stata tolta per le accennato prescrizioni. Forse,
continua il Beltrami, S. Carlo Borromeo, perchè la devo-
zione del popolo per la regina rientrasse ne' giusti limiti,
potrebbe esser venuto nella determinazione di togliere
dalla cappella la sua tomba, quando appunto la cappella
ebbe una nuova dedicazione, ai SS. Vincenzo o Ana-
stasio, mentre fino allora aveva avuto il nome di cap-
pella della regina; ma i documenti dell'epoca non parlano,
laddove il fatto doveva pur avere una certa importanza.
Secondo il Ciampini una esplorazione della tomba sarebbe
stata praticata dal cardinale Federico Borromeo. Durante
i necoli xvii e xvm non par che la tomba abbia subito
altre vicende. Riaperto ora nella tomba un foro eseguito

40 anni fa, si potè constatare esser dentro al sarcofago
molti filamenti d'oro, frantumi ed ossa. Ciò bastò per
assicurarsi che vi esistono ancora gli avanzi mortali della
regina, o non si procedette quindi allo scoperchiamento
del sarcofago, come pur troppo anche recentemente si
fece per altre tombe di chiari personaggi. Il sarcofago
venne quindi, senza particolari formalità, nei giorni 22
e 23 dello scorso luglio, ripristinato nella cappella, a
poca distanza dal muro di fondo, dovendo nel centro
della parto absidale della cappella, sorgerò l'altare che
servirà di custodia alla corona ferrea. Lo stesso egregio
architetto Luca Beltrami, ch'esegui il lavoro di restauro
alla cappella e scrisse la dotta memoria di cui abbiamo
parlato, ha imaginato per quest'altare un'opera in stilo
gotico, di marmo e di bronzo, slanciata, elegante, finis-
sima in tutti i suoi particolari, della quale siamo lieti
di poter presentare ai lettori lo schizzo, che dietro
nostra preghiera ci comunicò il eh. autore. Al quale
noi non possiamo che tributare senza nessuna riserva la
lode che si merita, sia per la diligenza e l'acume ch'egli
pone nella ricerca storica delle fasi subite nelle varie età
dai nostri grandi monumenti, sia pel rispetto col quale
s'accinge ai restauri di essi.

E noi vorremmo che tutti gli architetti seguissero il
suo esempio, poiché, in tal modo, non vedremmo rifatti in
parte od anche del tutto con nuovi materiali i nostri
più bolli odifizii, non vedremmo ricostruzioni fantastiche
di opere d'arte, eseguite a danno delle reliquie di esse
ancora rimaste, che o sono state mascherato oppure
affatto levate e distrutte, falsandosi completamente il
concetto e Io scopo della conservazione dei monumenti.

N. B.

Emilio Motta, Il Pittore Baldassare da Reggio (1461-

1471) — (« Archivio Storico Lombardo », Serio II,
30 giugno 1889, pag. 403 e segg.).

Il lavoro del signor Emilio Motta, che segnaliamo ai
nostri lettori, viene a corredare d'altre notizie archivisti-
che quel tanto che noi sapevamo della vita del pittore
Baldassaro da Reggio o d' Este, per le notizie raccolte
specialmente dal prof. Adolfo Venturi.

I nuovi documenti sono tratti dall'archivio di Stato
di Milano e si riferiscono ai rapporti corsi tra il nostro
pittore e i duchi di Milano Francesco Sforza e Galeazzo
Maria, e, por ciò che riguarda il pittore, tra questi ul-
timi e i duchi di Ferrara, Borso ed Ercole I.

La prima notizia che abbiamo di Baldassaro da
Reggio è del 10 gennaio 1401, in cui gli fu concesso
dal duca di Milano un passaporto per duo anni, con
due persone. Non è noto lo scopo di questo passaporto:
era per recarsi in Lombardia o por partirne in tem-
poraneo congodo ? La congettura de! Venturi che fin
dal 1409, almeno, la vita di Baldassare d'Este si svol-
gesse nel Milanese, e ch'egli, quando si recò a Ferrara,
non avesse ancora avuto dipendenza alcuna dai maestri
 
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