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Archivio storico dell'arte — 3.1890

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Fasc. I
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Miscelannea
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https://doi.org/10.11588/diglit.18089#0091

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70

Colmo, secondo i documenti del quattrocento, è una
rappresentazione figurata, dipinta o scolpita, di dimen-
sione indeterminata, centinaia in alto o foggiata a guisa
di tabernacolo. Senza uscire dall'inventario di Lorenzo
il Magnifico, già citato, vi troviamo:

« Uno colmo di marmo sopra l'uscio dell'anticame-
retta chon cholonne da lato di legname et chapitelli
inessi d'oro e in detto colmo una Nostra Donna col
bambino in braccio di mezo rilievo con 4 agnoli, cioè
dna per lato.

« Uno cholmo dipintovi una nostra Donna col bam-
bino in braccio et più santi a piedi loro in un taber-
nacholo chon sportelli che si serra, messo tutto d'oro
e dipintovi una Nunziata e uno Crucifisso e più altri
sancti.

Uno colmo di legname intagliato messo d'oro, alto
br 4'Va largo br 2 Va entrovi una Nostra Donna di marmo.

« Uno colmo di br. 4V2 dipintovi l'universo.

« Uno colmo di braccia 3 Va dipintovi una Italia.

« Uno colmo di br. 2 Va chon dna teste al naturale,
ciò FYancesco Sforza et Ghathamelata, di mano d'uno
da Vinegia.

« Un colmetto messo d'oro, dipintovi una Nostra Don-
na chol bambino in braccio.

« Uno colmetto alto braccia 1 Vi largo braccia 3U di-
pintovi uno Christo crucifixo in mezo di dua ladroni
chon una Nostra Donna et uno San Giovanni a piè con
più paesi e marina.

« Uno colmo di tabernacolo di legname con più or-
namenti d'oro alto br. 4 Va largo br. 2% drentovi una No-
stra Donna a sedere col bambino in collo di mezzo ri-
lievo et invetriato.

« Uno colmo per uso di tavoletta d'altare, lungho
br. 2 alto br. 1 Vs corniciato e messo d'oro dipintovi den-
tro la storia de' Magi di mano di fra Giovanni.

« Uno cholmo d'osso a uso tabernacolo con 12 com-
passi intorno e vetri entrovi storie di Christo e in mezzo
uno quadro con uno crucifixo. »

Non ho trasritto che gli esempii principali, conte-
nendone 1 inventario moltissimi altri; questi però bastano
per mostrare il vero significato della parola in que-
stione, giacché vi troviamo sculture, bassorilievi inve-
triati, lavori d'osso, dipinti, e piani geografici, in di-
mensioni svariati s.sime.

Tornando ai deschi da parto, il catalogo del signor
Muntz può essere aumentato di tre altri che si con-
servano nelle collezioni fiorentine. 11 primo a dodici lati
rappresenta il Giudizio finale nella faccia anteriore;
al rovescio vi è un amorino che suona la cornamusa e
due stemmi delle famiglie Albizzi e Soderini; fu ese-
guito, probabilmente per Caterina di Tommaso Sode-
rini sposata nel 1457 a Tommaso di Luca degli Albizzi,
e conserva ancora la cornice originale di stucco. Pro-
viene dal convento di Annalcna.

Nel secondo, circolare, è raffigurato il Giuoco della
Civetta, in uso ancora oggi nelle campagne toscane:
alcuni giovani, in costume della prima metà del quat-

trocento, giuocano in una piazzetta contigua alla porta
di una città. Questo tondo non conserva più le sue mi-
sure primitive, essendo stato segato per adattarlo ad una
cornice moderna; nel rovescio è dipinto a marmo; fu
acquistato nel 1781 per venti zecchini.

I due sopradescritti sono esposti da poco tempo nel
primo corridore della Galleria degli Uflizii; un terzo fa
parte della Collezione Carrand, al Museo Nazionale, e
rappresenta il Giudizio di Paride; prima metà del
quattrocento.

Sembra che l'uso dei deschi si sia mantenuto anche
nel cinquecento, giacché nella Galleria degli Uffìzii si
trova un vassoio circolare attribuito al Pontormo, in
cui è dipinta la Natività di S. Giovanni Battista; al
rovescio vi è uno scudo colle armi Della Casa e Tor-
naquinci, che c'indica come sia stato dipinto per Elisa-
betta Tornaquinci, moglie di Girolamo Della Casa.
Questo vassoio però non si può chiamare propriamente
un desco, g acche è di dimensioni piuttosto piccole;
servì però certo in occasione di parto, e ne è prova la
rappresentazione che lo adorna ; e forse fu fatto per
contenere i dolci 0 le confetture che si solevano allora
regalare alle partorienti, per le quali si usavano anche
le scudelle dee parto di maiolica.

U. Rossi

II primo maestro di Bernardino Lanino.

— Tutti gli autori che sinora hanno parlato di Bernar-
dino Lanino lo dichiararono allievo di Gaudenzio Fer-
rari, né senza fondamento. Difatti già il Lomazzo nel
suo Trattato dell'arte della pittura, Milano 1584, p. 372,
dice chiaramente: « Bernardino Lanino da Vercelli nella

cappella di santa Catterina in Santo Nazaro di Milano

dipinse Gaudenzio suo precettore, che disputava con Gio-
van Battista della Cerva suo discepolo, e mio maestro ».
Le quali ultime parole dimostrano la piena fede che
merita lo scrittore e pittore milanese, poiché ci indi-
cano implicitamente essergli quella notizia pervenuta
per mezzo di chi non poteva a meno d'esser bene in-
formato in proposito, cioè per mezzo dello stesso Della
Cerva condiscepolo del Lanino e maestro d'esso Lomazzo.
I documenti trovati dal p. Luigi Bruzza nell'Archivio
Civico di Vercelli e pubblicati dal suo confratello p.
Colombo (Gaudenzio Ferrari, Torino 1881 ; Gli artisti
Vercellesi, Vercelli 1883) non contengono, a dir vero,
l'affermazione espressa che Bernardino abbia imparata
l'arte dal grande valsesiano, ma lo mostrano in stretta
relazione con lui nel 1530, vale a dire a un tempo in
cui Lanino (che si suppone nato fra il 1510 ed il 1512)
doveva avvicinarsi al suo ventesimo anno. Secondo il
Bordiga (Notizie intorno a Gaudenzio Ferrari, 23 e 50),
appunto nel 1530 il Lanino avrebbe dipinto nel santuario
di Varallo alcuni angeli che facevano riscontro ad altri
coloriti da Gaudenzio. Che il giovane vercellese fosse
in quell'anno già tanto avanzato da poter eseguire le
menzionate pitture, è cosa possibile, anzi io son pronto
 
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