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Archivio storico dell'arte — 3.1890

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Fasc. II
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Fleres, Ugo: Alfredo Ricci
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https://doi.org/10.11588/diglit.18089#0147

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ALFREDO RICCI

veste cerulea coperta di ricami bianchi, campeggia sur un fondo roseo di seta a larghe strisce
verticali. Vorrei ma non so descrivere.

Dei tre bambini del conte Carlo Rasponi, quello di mezzo parmi di straordinaria bellezza.
Raro, quasi unico in questo, il Ricci, che per esprimere il suo ideale pittorico sembrava dovere
aver bisogno di molta libertà fantastica, era poi acutissimo nel sorprendere le caratteristiche della
fìsonomia. Vi ha, per esempio, nella collezione esposta, uno studio per ritratto di signora, dove la
perfetta somiglianza è ottenuta con un segno esilissimo: c'è, per così dire, la quintessenza della
forma, del colore e, meglio ancora, dell'indole della persona. Ebbene, questi pregi, e più l'incanto
d'una fattura piena quantunque agevole, semplice, come fosse istantanea, scorgiamo nella testa in-
fantile a cui ho accennato. Lo sguardo, il movimento delle labbra sono vivi : nella carne non sa-
premmo scernere tinta da tinta; nei capelli non sapremmo ripensare il modo con cui il pittore ne
rese la fluidità.

Nei ritratti dei bambini e nell'abbozzo a olio del Raccolto delle mandorle è il grado supremo
a cui l'arte di Alfredo ascese. Fin dove sarebbe arrivato questo Ariel della pittura per cui l'arte
pare fosse lieta e agevole come un gioco?

*

x -x-

Di molti altri lavori dovrei ancora parlare; ma perchè il lettore non si stanchi leggendo frasi
e frasi, quando sarebbe lauto più dilettevole e profìcuo vedere qualche saggio della pittura di Al-
fredo Ricci, terminerò col pastello che graziosamente il catalogo intitola Pastorale.

Una fanciulla, meglio, una ninfa seminuda, sporge il viso per bere la rugiada da un cespo di
larghe foglie. Una capretta bianca la segue stringendosi a lei con atto famigliare e vezzosissimo,
l'attuccio che hanno solo le caprette e i gattini.

Ora io penso: ma in quante forme adunque l'ingegno artistico del Ricci si esprimeva — o con
più precisione, godeva di esprimersi, pur serbando in ciascuna di esse il carattere dominante della
gentilezza? Noi vediamo qui, l'uno accanto all'altro, un capriccio elegante, e l'abbozzo d'un seve-
rissimo quadro, e i ritratti; nè in alcuna delle tre forme la personalità dell'artista si smentisce mai.

E invero Alfredo raccoglieva le doti più disparate: aveva in modo unico il sentimento del colore,
ma disegnava con giustezza rara, come se non avesse fatto altro che disegnare nella sua breve
vita. Aveva la dovizia della fantasia che gli permetteva di veder l'effetto delle forme e dei colori,
prima che la tela o la carta li ricevesse ed aiutasse così a determinarli; ma possedeva in egual
misura la penetrazione della fìsonomia, si che gli bastavano pochi segni perchè la somiglianza
balzasse intera e viva dal foglio morto. Aveva insomma la spontaneità multiforme; ma possedeva
pure l'attitudine a coltivare la fertilissima terra della sua intelligenza.

Poiché nell'arte moderna, più assai che nell'arte delle epoche primitive, è necessaria la facoltà
assimilatrice. L'opera nostra comincia ad emergere, là dove essa ha compiuto l'ascensione sulle
opere che l'hanno preceduta; e i più, nel salire, si stancano. Da questo alla dottrina propriamente
detta v'è un abisso. Dove un artista come il Ricci si ciba, s'arricchisce il sangue e s'invigorisce il
temperamento, altri accumula roba indigesta, e quel poco d'energia naturale ch'egli aveva, rimane
soffocato. Il sapere studiare, in arte, deriva da uua facoltà tanto spontanea quanto quella in cui
s'impernia la propria personalità. E per questo ora assistiamo alla meraviglia di vedere in un giovane
morto a venticinque anni, non soltanto una tempra genuina bellissima, ma anche l'effetto d'una
cultura tecnica, di cui altrimenti non potremmo renderci ragione.

Se le parole di uno che ha veduto nascere l'arte di Alfredo Ricci, e non ha avuto bisogno che
altri gliene additasse il continuo quasi vertiginoso progredire, e l'ha poi seguita fino a questa specie
di consacrazione che gli amici del caro estinto han saputo offrire; se le mie parole forse passionate
troppo, ma non adulatrici, giungeranno a suscitare l'esame critico dei competenti sull'opera in gran
parte frammentaria del giovinetto romano, io avrò conseguito quasi per intero il mio scopo. Mi
resterà il dolore di pensare che tutto ciò è suono, è vana romba per il nostro Alfredo, per l'irre-
parabilmente perduto,

Ugo Fleres
 
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