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Archivio storico dell'arte — 3.1890

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Fasc. III
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Gnoli, Domenico: Le opere di Mino da Fiesole in Roma, [3]
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https://doi.org/10.11588/diglit.18089#0192

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180

DOMENICO GNOLI

detto da Rovezzano, do qui riprodotto. (Fig. 3). Contro queste concordi testimonianze non esiste che
l'affermazione del Grimaldi contradetta da lui stesso ne' due schizzi del monumento. Ma anche senza
questo basterebbe, a mio avviso, la considerazione che si avrebbero a quel modo, nò credo ce ne sia
altro esempio, sopra la figura del morto tre ordini di rappresentazioni, le quali non è possibile
disporre in modo da cavarne un partito architettonico tollerabile. Ritengo perciò per indubitato
che il disegno del Ciacconio ci rappresenti esattamente, nelle linee generali, il monumento di
Paolo II. Dico nelle linee generali, poiché credo pure che il disegnatore del Ciacconio, tolto l'in-
sieme da uno schizzo antico, abbia poi collocato a caso nelle nicchie e nelle cornici, le statue e
i bassorilievi esistenti nelle Grotte.

Già lo Tschudi ha diviso le sculture di Mino da quelle di Giovanni Dalmata; due artisti di
caratteri talmente diversi, o meglio contrari, che nessun dubbio è possibile. Le opere di Mino
pertanto sono: le figure della Fede e della Carità, la tentazione d'Eva, gli evangelisti Luca e
Giovanni, i due angeli nel sarcofago, e il Giudizio Universale; il Dalmata fece nel basamento la
figura della Speranza e la Creazione d'Eva, gli evangelisti Matteo e Marco, il papa giacente sul-
l'urna, i due angeli nell'interno dell'architrave, e la Resurrezione.
Il lavoro, come si vede, è diviso equamente e colle bilance, di guisa
che nessuno dei due appaia autore principale del monumento.

I sette anni trascorsi dal primo al secondo soggiorno di Mino
in Roma, non hanno portato nell'arte sua nessuna modificazione
essenziale. La stessa perfezione di tecnica, la stessa grazia fina e
piccante, le stesse goffaggini puerili, la stessa imperizia del corpo
umano: tornano in gran parte gli stessi tipi, e gli stessi atteggia-
menti, cosicché prese le opere singolarmente, per alcune di esse
sarebbe diffìcile dalle sole note stilistiche determinare se appar-
tengano al primo periodo o al secondo. Ma nel complesso, troviamo
in questo arrotondate, ammorbidite le crudezze della sua arte
anteriore: non più le pieghe ad angoli acuti, come nelle gambe degli
apostoli nel Ciborio di Sisto IY, del card. d'Estouteville e d'alcune
altre figure nei bassorilievi di santa Maria Maggiore, non più le linee
rette, fitte e uniformi, o dure e grosse come fasci di bastoni: la
sua maniera s'allarga, restando però certe durezze inseparabili dalla
sua natura e nelle composizioni è una libertà insolita di movimento.
Alcuni nuovi motivi nell'atteggiamento delle persone e nelle pieghe
contradistinguono questo nuovo periodo.

Venendo ora al monumento di Paolo lì, i due evangelisti Luca
e Giovanni (Fig. 4 e 5), figure schiacciate entro nicchie poco pro-
fonde, evidentemente della stessa famiglia degli apostoli che abbiam
visti nel Ciborio di Sisto IY, a giudicarne dalla finezza d'esecu-
zione, ben maggiore che negli apostoli, mi par probabile che occu-
(Schizzo attribuito a Bened. da Rovezzano) passero i due posti inferiori delle nicchie, l'uno incontro all'altro.

Sono mal formati, e posano così male che pare non si reggereb-
bero in piedi se non avessero l'appoggio della nicchia : una gamba,
come abbiam visto in altre sue statue, pende quasi inerte. Abbiamo i soliti tipi fiacchi, le soprac-
ciglie gonfie, con un solco nel mezzo, le palpebre calate, gli stessi partiti di pieghe col manto
rovesciato a padiglione sul corpo, e il cappio ad una staffa, che nelle opere di Mino ha quasi
il valore d'una firma; ma il lavoro del manto, specialmente nel san Giovanni, è d'una valentia
magistrale. Confrontando il dossale della Badia a Firenze, tutto linee rette ed angoli acuti, colle
sculture del monumento di Paolo II, può vedersi come la primitiva durezza, pur mantenendo gli
stessi elementi, s'arrotondi e s'ammorbidisca.

Ma il sommo dell'arte sua nel lavoro dei panni ha raggiunto Mino nelle sue virtù teologali,
la Fede e la Carità, che decoravano la base del monumento. (Fig. 6, 7, 8). Qui Mino e il Dalmata
hanno voluto gareggiare e sfoggiare nell'arte loro ponendo le figure ad altezza dell'occhio tanto

Fig. 3 - MONUMENTO DI PAOLO II
 
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