RECENSIONI E CENNI BIBLIOGRAFICI 225
sue opere autentiche. Nei bassorilievi poi, raffiguranti
la storia di Adamo ed Eva, si trovano alcune figure
(p. e. nella caduta, nel peccato e nell'apparizione di Dio
dinanzi a Adamo) che paiono addirittura formato sulle
statue del maestro (Bacco, una delle schiave all'acquaio
nel duomo), perfino in singole particolarità nelle forme
delle mani e dei piedi, nella posizione delle gambe, nel
lavoro dei capelli, nella forma delle teste etc. Dall'altra
parte é manifesto l'accostarsi ai modelli della Fonte
Gaia di Jacopo della Quercia, benché vi resti nondimeno
una differenza essenziale fra i tipi del predecessore e
quelli del Federighi. Questi non possiede, come quello,
l'abilità di disporre le sue figure secondo le esigenze
e le condizioni della scultura in rilievo ; i loro movi-
menti sono più angolosi e massicci; manca loro il getto
grandioso delle creazioni di Jacopo. Non era nel genio
del nostro artista il far concessioni all' arte illusoria,
che si manifesta nella scultura in rilievo ; da naturalista
determinato egli non poteva immaginarsi i corpi altri-
menti se non come statue di tutto rilievo, esistenti nello
spazio. All'incontro, anche qui egli dà prova dei soliti
suoi pregi: l'energia nelle forme e nell'espressione, l'uti-
lizzare il corpo intiero per l'espressione dell'idea scultoria,
il far a meno della prospettiva pittorica nella compo-
sizione del rilievo.
Contemplando dunque tutta la schiera delle sculture
del Federighi, sotto il punto di vista complessivo che
ci vien somministrato dagli svolgimenti precedenti, tro-
veremo del tutto giustificato l'encomio del Tizio, lo sto-
riografo solerte e coscienzioso della comune loro patria,
che onora il nostro artista dell'epiteto di « vir in arte
scultoria et in omni architecturae genere peritissimus ».
C. de Fabriczy
F. Wickiioff L. — Liber die Zeit des Guido von Siena
(nelle « Mittheilungen des Instituts fùr oesterreichische
Geschichtsforschung » Bd. X, S. 244-286, Innsbruck,
1889).
L'autore in questa memoria riprende la questione
sulla data della nota tavola di Guido da Siena, già nella
chiesa di S. Domenico di quella città e testé trasferita
nel Palazzo Comunale, questione di somma importanza
per le vicende della pittura italiana nel medio evo ossia
per la priorità della pittura fiorentina o senese di quel-
l'epoca. — Il Wickhoff si accinge a confutare gli argo-
menti di G. Milanesi che, in un suo studio pubblicato
primamente nel « Giornale storico degli Archivi toscani
voi. Ili » e ristampato poi nei suoi « Scritti vari sull'arte
toscana » cercò di dimostrare, che la tavola in questione
non fu, come l'indica l'iscrizione che si trova su essa,
dipinta nel 1221, ma verso la fine del decimoterzo secolo,
e probabilmente nel 1281. Per provar ciò, il Milanesi
adduce argomenti paleografici, storici e di critica arti-
stica. Quanto ai primi, egli dice che i caratteri gotici
della iscrizione della tavola di Guido non cominciarono
a usarsi se non quarant'anni dopo il 1221 e che quindi
questa data è un errore, cagionato da chi ristaurò più
tardi il quadro e in questa occasione racconciò pure
la vecchia iscrizione. Ora il Wickhoff osserva che le
lettere gotiche maiuscole, impiegate nella iscrizione di
cui si tratta, erano usate, in ispecie nelle iscrizioni di-
pinte, molto prima di quelle minuscole. Per questa sua
asserzione cita tre iscrizioni, delle quali due senesi del
1223 e 1234 ed una lucchese del 1223, nelle (piali ab-
bondano i caratteri gotici maiuscoli, e adduce pure una
iscrizione dell'anno 1199, che si trova su d'una scultura
in legno, rappresentante la Madonna col bambino, pro-
veniente da Borgo S. Sepolcro, ora collocata nel Museo
di Berlino. Questa pure è già di carattere quasi del tutto
gotico, sicché non è da recar maraviglia se ventidue
anni più tardi nella tavola di S. Domenico troviamo ado-
perati caratteri puramente maiuscoli di scrittura got'ca.
Quanto poi riguarda gli argomenti storici, il Wick-
hoff non trascura quello principale addotto dal Milanesi,
cioè che il non trovarsi nei documenti contemporanei
il nome di Guido sia una prova decisiva per negare
la sua esistenza. Egli domanda, se l'opinione che ascrive
a Cimabue il rinnovellamento della pittura e nega che
prima di lui vi esistesse un artista dell'importanza di
Guido da Siena, si appoggi su documenti irrecusa-
bili. Per trovar la risposta a questa domanda l'autore
passa in esame le fonti alle quali il Vasari attinse le
sue notizie: cioè, l'anonimo commentatore di Dante,
della fine del secolo decimoquarto, che primo dichiarò
Giotto discepolo di Cimabue, la di cui narrazione però
improntata del carattere dei novellieri contemporanei,
non può aspirar alla fede di un documento storico;
Lorenzo Ghiberti, il quale benché ci racconti la leggenda
di Giotto pastore, non fa nessuna menzione dell'influenza
esercitata da Cimabue sullo svolgimento della pittura,
anzi lo caratterizza come seguace della « maniera
greca, » mentre che a Giotto ascrive decisamente tutto
il merito del rinascimento dell'arte; Cristoforo Landino,
il quale copiando Filippo Villani attribuisce a Cimabue
il rinnovellamento della pittura, senza però far parola
della sua relazione con Giotto; Francesco Albertini, che
è il primo a ricercare e additar i lavori di Cimabue
e di Giotto: in fine l'anonimo autore del Codice XVII,
17 della Biblioteca nazionale di Firenze, contenente
biografie di artisti da Cimabue a Michelangelo, il
quale, seguendo testualmente il Landino, dichiara che
il primo fu quello « che ritrovò i lineamenti naturali
e la vera proporzione e fece le figure di vari gesti »
e ne enumera le opere a Firenze, Pisa, Assisi ed Empoli.
Su queste fonti, in ispecie sull'ultima, il Vasari tesse
poi la sua biografia di Cimabue, attribuendogli tutte le
opere che gli paiono di stile bizantino, a Giotto tutte
quelle che sono in istile del Trecento, eccettuate sola-
mente le pitture che, o per la loro origine senese o
per una molto recente età, si rivelavano d'un carattere
differente. Riassumendo le sue deduzioni, il Wickhoff
conchiude, che la storia dell'origine dell'opinione, che
Cimabue sia il fondatore della pittura italiana, ci dimo-
stra come quella si sia sviluppata a poco a poco e
Archivio storico dell'Arte - Anno III, Fase, V-VI,
8
sue opere autentiche. Nei bassorilievi poi, raffiguranti
la storia di Adamo ed Eva, si trovano alcune figure
(p. e. nella caduta, nel peccato e nell'apparizione di Dio
dinanzi a Adamo) che paiono addirittura formato sulle
statue del maestro (Bacco, una delle schiave all'acquaio
nel duomo), perfino in singole particolarità nelle forme
delle mani e dei piedi, nella posizione delle gambe, nel
lavoro dei capelli, nella forma delle teste etc. Dall'altra
parte é manifesto l'accostarsi ai modelli della Fonte
Gaia di Jacopo della Quercia, benché vi resti nondimeno
una differenza essenziale fra i tipi del predecessore e
quelli del Federighi. Questi non possiede, come quello,
l'abilità di disporre le sue figure secondo le esigenze
e le condizioni della scultura in rilievo ; i loro movi-
menti sono più angolosi e massicci; manca loro il getto
grandioso delle creazioni di Jacopo. Non era nel genio
del nostro artista il far concessioni all' arte illusoria,
che si manifesta nella scultura in rilievo ; da naturalista
determinato egli non poteva immaginarsi i corpi altri-
menti se non come statue di tutto rilievo, esistenti nello
spazio. All'incontro, anche qui egli dà prova dei soliti
suoi pregi: l'energia nelle forme e nell'espressione, l'uti-
lizzare il corpo intiero per l'espressione dell'idea scultoria,
il far a meno della prospettiva pittorica nella compo-
sizione del rilievo.
Contemplando dunque tutta la schiera delle sculture
del Federighi, sotto il punto di vista complessivo che
ci vien somministrato dagli svolgimenti precedenti, tro-
veremo del tutto giustificato l'encomio del Tizio, lo sto-
riografo solerte e coscienzioso della comune loro patria,
che onora il nostro artista dell'epiteto di « vir in arte
scultoria et in omni architecturae genere peritissimus ».
C. de Fabriczy
F. Wickiioff L. — Liber die Zeit des Guido von Siena
(nelle « Mittheilungen des Instituts fùr oesterreichische
Geschichtsforschung » Bd. X, S. 244-286, Innsbruck,
1889).
L'autore in questa memoria riprende la questione
sulla data della nota tavola di Guido da Siena, già nella
chiesa di S. Domenico di quella città e testé trasferita
nel Palazzo Comunale, questione di somma importanza
per le vicende della pittura italiana nel medio evo ossia
per la priorità della pittura fiorentina o senese di quel-
l'epoca. — Il Wickhoff si accinge a confutare gli argo-
menti di G. Milanesi che, in un suo studio pubblicato
primamente nel « Giornale storico degli Archivi toscani
voi. Ili » e ristampato poi nei suoi « Scritti vari sull'arte
toscana » cercò di dimostrare, che la tavola in questione
non fu, come l'indica l'iscrizione che si trova su essa,
dipinta nel 1221, ma verso la fine del decimoterzo secolo,
e probabilmente nel 1281. Per provar ciò, il Milanesi
adduce argomenti paleografici, storici e di critica arti-
stica. Quanto ai primi, egli dice che i caratteri gotici
della iscrizione della tavola di Guido non cominciarono
a usarsi se non quarant'anni dopo il 1221 e che quindi
questa data è un errore, cagionato da chi ristaurò più
tardi il quadro e in questa occasione racconciò pure
la vecchia iscrizione. Ora il Wickhoff osserva che le
lettere gotiche maiuscole, impiegate nella iscrizione di
cui si tratta, erano usate, in ispecie nelle iscrizioni di-
pinte, molto prima di quelle minuscole. Per questa sua
asserzione cita tre iscrizioni, delle quali due senesi del
1223 e 1234 ed una lucchese del 1223, nelle (piali ab-
bondano i caratteri gotici maiuscoli, e adduce pure una
iscrizione dell'anno 1199, che si trova su d'una scultura
in legno, rappresentante la Madonna col bambino, pro-
veniente da Borgo S. Sepolcro, ora collocata nel Museo
di Berlino. Questa pure è già di carattere quasi del tutto
gotico, sicché non è da recar maraviglia se ventidue
anni più tardi nella tavola di S. Domenico troviamo ado-
perati caratteri puramente maiuscoli di scrittura got'ca.
Quanto poi riguarda gli argomenti storici, il Wick-
hoff non trascura quello principale addotto dal Milanesi,
cioè che il non trovarsi nei documenti contemporanei
il nome di Guido sia una prova decisiva per negare
la sua esistenza. Egli domanda, se l'opinione che ascrive
a Cimabue il rinnovellamento della pittura e nega che
prima di lui vi esistesse un artista dell'importanza di
Guido da Siena, si appoggi su documenti irrecusa-
bili. Per trovar la risposta a questa domanda l'autore
passa in esame le fonti alle quali il Vasari attinse le
sue notizie: cioè, l'anonimo commentatore di Dante,
della fine del secolo decimoquarto, che primo dichiarò
Giotto discepolo di Cimabue, la di cui narrazione però
improntata del carattere dei novellieri contemporanei,
non può aspirar alla fede di un documento storico;
Lorenzo Ghiberti, il quale benché ci racconti la leggenda
di Giotto pastore, non fa nessuna menzione dell'influenza
esercitata da Cimabue sullo svolgimento della pittura,
anzi lo caratterizza come seguace della « maniera
greca, » mentre che a Giotto ascrive decisamente tutto
il merito del rinascimento dell'arte; Cristoforo Landino,
il quale copiando Filippo Villani attribuisce a Cimabue
il rinnovellamento della pittura, senza però far parola
della sua relazione con Giotto; Francesco Albertini, che
è il primo a ricercare e additar i lavori di Cimabue
e di Giotto: in fine l'anonimo autore del Codice XVII,
17 della Biblioteca nazionale di Firenze, contenente
biografie di artisti da Cimabue a Michelangelo, il
quale, seguendo testualmente il Landino, dichiara che
il primo fu quello « che ritrovò i lineamenti naturali
e la vera proporzione e fece le figure di vari gesti »
e ne enumera le opere a Firenze, Pisa, Assisi ed Empoli.
Su queste fonti, in ispecie sull'ultima, il Vasari tesse
poi la sua biografia di Cimabue, attribuendogli tutte le
opere che gli paiono di stile bizantino, a Giotto tutte
quelle che sono in istile del Trecento, eccettuate sola-
mente le pitture che, o per la loro origine senese o
per una molto recente età, si rivelavano d'un carattere
differente. Riassumendo le sue deduzioni, il Wickhoff
conchiude, che la storia dell'origine dell'opinione, che
Cimabue sia il fondatore della pittura italiana, ci dimo-
stra come quella si sia sviluppata a poco a poco e
Archivio storico dell'Arte - Anno III, Fase, V-VI,
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