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Archivio storico dell'arte — 3.1890

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Fasc. IV
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Gnoli, Domenico: Le opere di Mino da Fiesole in Roma, [4]
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https://doi.org/10.11588/diglit.18089#0284

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LE OPERE DI MINO I)A FIESOLE IN ROMA

271

se cede a quello nella finezza complicata del lavoro, lo supera in eleganza; la solita piega diagonale
da un ginocchio al piede opposto, qui si arrotonda e si allarga e si curva nel discendere, e tutto il
partito delle pieghe è più semplice, morbido, armonioso. Nelle teste, nelle mani e nelle forme del
corpo si possono notare bensì delle differenze più o meno notevoli nei vari periodi dell'arte di Mino;
ma infine gli ultimi lavori non son troppo diversi dai primi, ed è diffìcile seguirvi uno svolgi-
mento costante verso una ricerca di perfezione; mentre il genio decorativo, che era in lui dominante,

10 spinge di continuo a rimaneggiare, a carezzare, a perfezionare i suoi primi concetti architettonici
e ornamentali, affaticandosi di raggiungere per mezzo della linea, del rilievo e del colore, un'idealità
altissima d'eleganza e di grazia, salendo dalla semplice decorazione dei dossali della Badia e di
Fiesole, allo splendore e all'eleganza architettonica e decorativa delle selpolture del Forteguerri e
del conte Ugo, e dalle pieghe povere, stecchite e angolose de' suoi primi lavori a questa ricchezza
di panneggiamenti delle sepolture di Paolo II e del Forteguerri.

Ai lati della Madonna sono, dentro nicchie, due statue; da un lato san Nicola, il nome del
Forteguerri, santa Cecilia dall'altro; sono due volgari figure che non hanno nulla di comune nò
con Mino nè colla sua scuola. Appartengono ad uno scalpello, probabilmente romano, di cui riman-
gono altre grossolane sculture nelle sepolture romane di quel periodo.

Nel tondo in mezzo al frontone circolare ornato di antefisse, decorazione insolita a Mino e di
cui non c'è altro esempio nelle sepolture romane di quel tempo, è la figura del Salvatore ripetuta
più volte da Mino, e che ha i caratteri non dubbi dell'arte sua; ma ne' due vani curvilinei da cui

11 tondo è racchiuso, sono due angioli in adorazione di line scultura, che però non hanno i carat-
teri della sua maniera. Ma poiché troveremo più volte questi due angeli intorno a madonne di
Mino, ci si offrirà altra occasione di riparlarne.

Qui non debbo tralasciare un'osservazione che 11011 è forse senza importanza. Se si tolgano i
due santi, san Nicola e santa Cecilia, che non hanno nulla di comune con Mino, e i due angeli
che, quantunque di buon lavoro, sono però lontani dalla sua maniera, e in loro vece si pongano
degli specchi di marmo scuro, il monumento del Forteguerri si accosterà sempre più a quello del
conte Ugo, che appunto in quegli spazi non ha sculture, ma specchi di marmo scuro. Ciò può
indurre nel dubbio che quelle sculture sieno state aggiunte al disegno di Mino, o per la difficoltà
di trovare il marmo nero 0 bigio da riempire quegli spazi, o forse più probabilmente perchè quegli
spazi vuoti ripugnassero alle tradizioni e al gusto della scultura romana. E notevole ad ogni modo
che sieno d'altra mano proprio quelle parti del monumento che più lo differenziano da quello del
conte Ugo.

E poiché tutti i lavori di Mino in Roma sono disfatti e scomposti, mi sia permesso di far
voti che almeno questo, che si potrebbe senza molta difficoltà, sia per opera del Ministero ricom-
posto, riunendo le membra sparse. A ricostruire l'armonia del monumento, si potrebbe anche sulle
mensole porre due copie dei putti che adornano la sepoltura del conte Ugo, e dai quali questi del
monumento Forteguerri, conosciuta la natura dello scultore, non potevano differire di molto.

Domenico Gnoi,i.
 
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