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Archivio storico dell'arte — 3.1890

DOI issue:
Fasc. IV
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Dollmayr, Hermann: Lo stanzino da Bagno del Cardinal Bibbiena
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https://doi.org/10.11588/diglit.18089#0291

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LO STANZINO DA BAGNO DEL CARDINAL BIBBIENA

Il campo a destra della finestra è oggi veramente coperto da una tinta bruno-grigia; però
non si può dubitare che vi si trovasse la scena riprodotta dal Piroli e dal Landonio, cioè la Lotta
fra Pane e A?ìiore. Questa avviene in un paesaggio che sul dinanzi del fondo è limitato a destra da
un albero a cui Amore ha appeso la sua faretra. I due lottatori si tengono strettamente avvinghiati
e Amore, con una astuzia da lottatore ben nota ha stretto fortemente la gamba di Pane con la
propria, ciò che ci toglie ogni dubbio sull'esito della lotta: vincerà Amore, e ce lo dice anche il
suo viso sorridente, mentre in quello di Pane si leggono lo sforzo e la disperazione. L'arte moderna
non ha trattato spesso questo soggetto; oltre a questa pittura io non conosco che l'affresco di An-
nibale Carracci nel palazzo Farnese, in cui però Pane è già abbattuto. Invece nell'arte antica era
molto usato, come lo mostrano le pitture murali e numerosi lavori di arti minori.1 Fra gli scrittori
troviamo di nuovo notizia di una lotta fra Pane e Amore solamente in Servio nel commentario
a Virgilio, Bucol. II, 81, ove dice: Rie, quia totius naturae deus est, a poetis fìngitur eum Amore
luctatus et ab eo victus, quia, ut legimus, omnia r/tneit Amor, ergo Pan secundum fàbulas
amasse Syringa nympham dìcitur : quam cum sequeretur, illa implorato Terrae auxilio in ca-
lamum conversa est, quem Pan ad solacium amoris incidit et sibi flstulam fecit. Che questo sia
il passo da cui è ispirata la nostra pittura, è già dimostrato dalla circostanza che nel campo si-
nistro della stessa parete è dipinto Pane che sorprende Siringa. La ninfa siede su di un sasso
all'ombra di un albero con una veste che le cinge soltanto i fianchi e si pettina la lunga chioma,
mentre Pane, mezzo nascosto dalle foglie di un cespuglio, stende cupidamente la mano verso di
lei per afferrarla. Tanto nell'originale quanto nell'incisione di Marcantonio 2 egli è itifallico; nei fogli
ritoccati dal Villamena, nel Piroli e nel Landonio ha invece il membro coperto di foglie.

L'ultima di queste scene rappresenta Vulcano che lotta con Minerva ma, non potendo sopraf-
farla, feconda la terra che partorisce Erittonio. Egli ha preso la dea per le braccia, ma essa sde-
gnata si piega all'indietro e si svincola dalle sue mani. Fra le gambe di Vulcano s'apre la terra
e fra le zolle si vede apparire la testa di un bambino, Erittonio. Forse anche per questa scena
l'ispirazione venne da Servio (Comm. a Vergilio, Georg., I, 205). L'affresco, intorno al cui autore
ritornerò a parlare in seguito, non è della stessa mano che ha dipinto gli altri ; tanto nell' ese-
cuzione che nella composizione si dimostra di molto più debole e sembra dipinto dopo tutti
gli altri. Per quanto io so, quest'argomento non fu trattato una seconda volta neh' arte italiana;
che esso sia stato scelto qui si può spiegare con l'intenzione di dimostrare che, come contrapposto
a tutte le scene in cui è espressa la potenza irresistibile dell' amore cui soggiacciono tutti, e la
dea stessa dell'amore e il semianimalesco Pane e gli animali, Atena sola non soggiacque ad Amore.

Antiche per la forma, erotiche per il contenuto, le pitture della stanzino sono un monumento
caratteristico del loro committente, che accanto a Giulio de' Medici fu il personaggio principale
alla corte di Leone X. Molto somigliante al papa, suo amico di gioventù, fu come lui un uomo
di mondo che, ad onta della sua leggerezza di sentimento che talora gli fece rappresentare in
modo compromettente la parte di uomo allegro, pure, a quanto sembra, nutriva un interesse ab-
bastanza grande per l'arte e specialmente per la letteratura antica. Spesso si accusò di frivolezza
questo cardinale che, nel Vaticano, fece ornare il suo stanzino da bagno con scene pagane così
poco convenienti ad un principe della Chiesa; ma nel far ciò non lo si seppe giudicare alla stregua
del tempo in cui visse. Alla corte di Leone X, dove il paganesimo risorto faceva quasi dimenticare
il cristianesimo, non era che il puro e profondo compiacimento che si provava per la grazia ani-
matrice della mitologia greca, che destava in tutti il desiderio di circondarsi stabilmente delle sue
graziose figure. Per questo rispetto non c'è nulla di più caratteristico della lettera che il cardinale
Giulio de' Medici, che fu poi papa Clemente VII, scriveva a Mario Maffei a proposito della scelta
delle storie per la Villa Madama; « Quanto alle storie e fabule piacemi siano cose varie. Le cose
di Ovidio di che vostra paternità mi scrive, mi vanno a gusto; però veda di eleggerne le belle il

1 Vedi O. Bie, Rincjkampf des Pati und Eros nel-

VJahrbuch des deutsch. arch. Instit. in Athen, 1889.

2 Bartsch, XIV, 325.
 
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