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Archivio storico dell'arte — 3.1890

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Fasc. IV
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Dollmayr, Hermann: Lo stanzino da Bagno del Cardinal Bibbiena
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https://doi.org/10.11588/diglit.18089#0292
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HERMANN DOLLMAYR

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che a lei rimetto. Cose uscure come ho detto non voglio, ma varie sì et scelte. Le cose del testa-
mento vecchio — aggiunge egli ironicamente — bastino alla loggia di N. S. 1

Quanto poi all'imitazione delle forme antiche, essa proviene pure dallo spirito generale del tempo.
Le terme di Tito erano state aperte allora e formavano l'oggetto dei più accurati studi, non solo
degli eruditi, ma anche di tutti gli artisti, che consideravano quasi come una rivelazione dell'arte
le novità che in quei sotterranei si offrivano ai loro sguardi. Perciò nulla di più naturale che al
cardinale committente, che apparteneva senz'altro ai più entusiastici fautori dell'antichità, venisse
il pensiero di possedere alcunché di simile, ed all'artista quello di eseguirlo. È noto che Raffaello
era alla testa di tutti quelli che s'erano dedicati allo studio dell' antico, a cui egli eccitava con
ardore anche i suoi scolari. Fino allora aveva esercitato il suo impero sugli artisti soltanto la
plastica antica; nelle terme di Tito s'imparò a conoscere le pitture e i grotteschi e vi si rivolse
l'interesse generale. Lo stanzino da bagno ne doveva essere il primo prodotto, e come tale esso
si avvicina a' suoi modelli molto più che le Loggie, per le quali furono bensì egualmente forniti
dalle terme i motivi, ma nel determinarli e nell'applicarli il grande genio decorativo di Giovanni
da Udine fece una creazione di 'gran lunga più indipendente.

A questo punto sarà conveniente di determinare con precisione il tempo in cui lo stanzino fu
eseguito. Dalla lettera già citata del Bembo, scritta il 19 aprile 1516, sappiamo che allora ne era
terminata una parte; esso fu finito del tutto nei mesi di maggio e giugno dello stesso anno, giacché
in una seconda lettera del Bembo, del 6 maggio 1516, è scritto : « la stufetta si va fornendo : e
veramente sarà molto bella » ; e in quella del 20 giugno: « la loggia, la stufetta ecc. sono fornite. »

Che il grande artista, carico di commissioni, abbia potuto accettare un lavoro così secondario
e per giunta da un privato, si capisce pensando alle relazioni d' amicizia eh' egli ebbe col cardi-
nale; inoltre egli aveva già istruito tanto i suoi allievi, che l'esecuzione del lavoro non doveva
essergli molto difficile. In tutta la descrizione delle pitture ho taciuto con intenzione il nome del-
l'artista che le ha eseguite, perchè m'importava di determinare la sua personalità con una ricerca
più accurata. I più serii ricercatori asserirono sempre che a Raffaello non si può attribuire che
l'invenzione di tutto l'insieme, giacché l'esecuzione spesso impacciata, talora anzi disadatta esclude
già da bel principio che si possa pensare ad un lavoro di sua mano. Perciò le pitture si ascris-
sero al più eccellente de' suoi scolari, Giulio Romano, del cui aiuto Raffaello a quel tempo s'era
già grandemente servito nel dipingere la Stanza dell' Incendio e quindi gli si attribuirono anche
alcune composizioni che più si avvicinano allo stile del maestro. Se noi le esaminiamo rispetto
alla loro forma, non si può dubitare che tutto, meno la scena di Vulcano e Minerva, sia vera-
mente della mano di Giulio. Le figure corte e tozze, di complessione alquanto robusta, il tono
rossiccio delle carni, le teste pesanti dalla fronte alta e con gli occhi solo lievemente accennati,
i nasi schiacciati, le linee della bocca che somigliano a due w riuniti e l'orecchio carnoso; infine
le braccia rotonde e alquanto corte, le mani con le palme aperte e i pollici staccati, la posizione
di Saturno e di Urano che giacciono sulle nubi, sono indizi del modo di disegnare di quell'artista
che ebbe questi tratti caratteristici dal suo primo lavoro fino all'ultimo. Quanto vi sia di suo anche
nella composizione, si può dedurre confrontando la posizione di Saturno e Urano sulle nuvole con
altre sue opere posteriori, per esempio con il quadro rappresentante la Lapidazione di san Ste-
fano nella chiesa di S. Stefano a Genova, in cui si vedono in alto sulle nuvole Cristo e il Dio
Padre, nonché la Trinità che si vede nell'alto del Ritrovamento della croce nella chiesa di Sant'An-
drea in Mantova, il cui cartone fu da lui disegnato. Se adunque nel giudicare di tal cosa si vuol
porre un limite ragionevole all' influenza esercitata su noi dall'impressione generale, non si potrà
far a meno di convincersi che nelle pitture Giulio abbia avuto la parte principale. Però, quanto
alla composizione in generale, essa mi sembra rivelare una mano troppo esercitata per poterla
attribuire incondizionatamente a quell'artista che allora contava al massimo 24 anni. Senonché
in questa questione le opinioni rimarranno sempre diverse, giacché, almeno fino ad oggi, non si
conosce ancora alcun disegno, che possa considerarsi come abbozzo originale delle nostre pitture.
Quelli che finora si ritennero come schizzi sono : Un disegno a matita rossa per la scena di Ve-

1 Vedi il documento pubblicato in questo Archivio, anno li, fase. III-IV, pag. 158.
 
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