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Archivio storico dell'arte — 3.1890

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Fasc. VI
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Gnoli, Domenico: Le opere di Mino da Fiesole in Roma, [5]
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https://doi.org/10.11588/diglit.18089#0444

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LE OPERE DI MINO DA FIESOLE IN ROMA

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("> mosso con grazia in atto di benedirlo. Le ginocchia sporgono fortemente, e si direbbe che la
principale preoccupazione dell'artista fosse quella di svolgere e perfezionare il suo vecchio partito
di pieghe, che muove dalle Virtù del monumento di Paolo II. E veramente egli è qui giunto ad
una perfezione insuperabile. La solita piega principale scende dal ginocchio sinistro al piede destro,
il manto si ripiega facendo seno fra le ginocchia, ed è sollevato sui piedi lasciando vedere la veste.
La compostezza del manto s'accorda con quella della figura ; e se non fosse la piega trasversale,
parrebbe obbedire alle leggi della simmetria architettonica: ma, nonostante quel che c'è di geome-
trico e di tagliente, e quell'apparenza lucida e dura che hanno i lavori in avorio, è questo un vero
capolavoro, dove l'infinita varietà e accidentalità dei movimenti della stoffa, che sfuma in ondula-
zioni che paiono velature di pennello, non turba affatto la composizione semplice, chiara, armo-
niosa della massa.

Dei quattro Santi, quello colla mitra è probabilmente san Girolamo, da cui pigliava nome Gi-
rolamo Riario, che si è cacciato in questo monumento come in casa sua. Non c'è nelle nicchie la
statua di san Pietro, perchè, come abbiam visto, esso presenta il cardinale alla Vergine. Il frate
sopra al vescovo pare sia san Francesco, e dall'altra parte è sant'Antonio e, sotto, san Bernardino
da Siena. I panni son lavorati a larghi piani, da cui si solleva di quando in quando una piega leg-
gera e tagliente. Anche in queste statue si nota, più o meno, la solita gamba male attaccata al fianco,
e il piede rivolto in dentro. Lo quattro teste imberbi, fatte su d'un tipo comune, piccole, rotonde, liscie,
con un nasetto che scende a piombo dalla fronte, non hanno alcun riscontro con quelle degli apostoli
o d'altri santi che abbiam veduto finora in Roma; ma lo scultore ripiglia un suo vecchio tipo
usato già nei due Santi dell'altare della Badia e nel san Lorenzo del dossale di Fiesole. Il che ci dà
luogo a mettere a riscontro queste opere dell'ultimo suo periodo con quelle della gioventù, e os-
servare con quanta tenacia egli abbia conservato i tipi e le movenze e la tecnica dell'arte sua.
Certo, egli accoglie più tardi alcuni tipi e motivi nuovi, e perde quasi interamente nelle pieghe
l'angolo acuto de' suoi primi lavori; ma nondimeno queste statue del monumento Riario sono così
vicine nel tipo, nelle pieghe, nel modo di trattare il marmo alle fiorentine, e specialmente a quelle
del dossale di Fiesole, che non si stenterebbe a crederle della stessa età, o ben poco distante. Si
noti una particolarità: nel dossale della Badia le tonache de' frati, nel vano fra le gambe, rien-
trano, formando un triangolo d'ombra a modo di piramide o d'obelisco; e in parecchie figure di
Santi a S. Maria Maggiore enei monumento di Paolo II, come in questo del cardinale Riario (e lo
ritroveremo anche appresso), abbiamo ancora questo vuoto, quantunque non così rigido nè colla
punta così aguzza come in quelle. Questa tenacia si nota nelle più minute particolarità, come quella
ad esempio, dell'essere quasi sempre sollevati il dito indice e il mignolo.

La figura giacente del cardinale è posta a tale altezza che non si riesce a vederla bene se non
salendo su d'una scala. Esaminandola da vicino, è facile accorgersi che essa non è opera del nostro A.,
specialmente se si confronti con quella del cardinal Forteguerri. La faccia lisciata, come in parecchie
opere di Mino, manca di morbidezza. Alcune pieghe piatte e ali re sovrapposte, gli ornati e in ge-
nerale la tecnica ricordano quella di Mino; ma sono qualità comuni alla scuola di Desiderio da
Set tignano, alla quale pare che l'autore appartenga. Vi mancano però le qualità individuali del
nostro A.: citerò, ad esempio, le pieghe rotonde sul braccio destro, e la mano schiacciata, e senza
il solito rialzamento dell'indice e del mignolo.

La splendida urna su cui si leva la bara, non è opera del nostro Mino, quantunque le arpie
che la sostengono, usate già da Desiderio, sieno simili, anche nella fattura, a quelle che vedremo in
altro monumento di Mino. Ma quei tre putti così ben formati e mossi con tanto brio ed eleganza,
non hanno nulla di comune col putto di Mino grassoccio e lento, il quale si mantiene invariabile dai
due putti del dossale di Fiesole a quelli che sostengono le arme del cardinale D'Estouteville a
Santa Maria Maggiore e al bambino delle ultime Madonne, e neppure somigliano affatto ai ragazzi
che sostengono le arme nel monumento del conte Ugo. Quell'urna che è un vero gioiello d'eleganza,
e che troviamo ripetuta nel monumento del cardinal Savelli all'Aracoeli, deve appartenere ad uno
di quegli scultori d'ornato, forse Pagno da Set tignano, che portarono in quel tempo a così alto grado
l'arte dell'ornamentazione: il putto rientrava nella loro arte, dovendo sostenere stemmi o festoni.
Allo stesso scalpello probabilmente appartengono i due putti dei piedistalli che piangono appoggiati
 
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