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Archivio storico dell'arte — 4.1891

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Fasc. V
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Nardini Despotti Mospignotti, Aristide: Lorenzo del Maitano e la facciata del Duomo d'Orvieto
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https://doi.org/10.11588/diglit.18090#0370

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338

A. NARDFNI DESPOTTI MOSPIGNOTTI

nario del duomo d'Orvieto? Qui allora avremmo insieme l'acqua ed il fuoco, il lupo e l'agnello,
avremmo insomma dei contrari che non si possono assolutamente amicare.

Confessiamo dunque candidamente di non conoscere l'autore di cotesto disegno primitivo.
I)i lui tacciono i documenti autentici, anche perchè di quel tempo sono scarsissimi, e se mai
parlano di qualcuno, questi sarebbe il Benvignate, frate benedettino che fino dal 1295 risulta
essere stato anche per l'innanzi nominato a dirigere e sorvegliare tutti i lavori della chiesa.
Ma forse neanche il Benvignate è l'autore del duomo primitivo, il cui disegno probabilmente
fu dato da qualche frate della prossima badia di San Severo, o da qualche architetto della
Corte papale, o da qualche seguace dei Cosmati, gente tutta tenacemente legata alle tradizioni
della scuola romànica.1 Lasciamo dunque senza più altre induzioni questo periodo assai oscuro,
e veniamo piuttosto a Lorenzo del Maitano, architetto della parte posteriore del nostro duomo,
e sopratutto della sua stupenda facciata.

Di questa facciata rimangono tuttora nel Museo dell'Opera due vecchi e preziosi disegni
su pergamena, diversi alquanto fra loro: imperocché uno di essi ci rappresenta una facciata
monocuspidale, e l'altro senza dubbio posteriore, una facciata tricuspidale. 2 L'egregio Fumi,
partitosi dal concetto che il disegno originario del duomo fosse opera d'Arnolfo, suppone che
d'Arnolfo sia pure la pergamena dal disegno monocuspidale, e che da questa il Maitani modi-
ficando facesse capo alla sua famosa tricuspide. 3 In forza di questa ipotesi Lorenzo nostro non
sarebbe più entrato a caso vergine nello studio della facciata, sì piuttosto di seconda mano. A
dire il vero, a me dorrebbe assai il vedere sfrondata dal di lui capo questa corona di gloria,
ed il vederlo discendere dall'altezza di una mente creatrice al grado tanto più modesto di raf-
fazzonatore dell'opera altrui; e tale sarebbe stato di fatto, perchè in sostanza, prescindendo dal
monocuspide e dalla tricuspide e dal miglioramento delle proporzioni, i concetti di quei due
disegni sono presso a poco gli stessi. Ma questo fatto benché doloroso, se fosse vero, bisognerebbe
subirlo, perchè la verità va innanzi a qualunque culto personale. Di questa verità io però dubito
assai, e tanto più allora non posso acconciarmi così per fretta a defraudare Lorenzo nostro del
vanto che gli fu dato finora.

L'ipotesi che il disegno monocuspidale della vecchia pergamena possa appartenere ad Arnolfo
ha perduto terreno, e la direi quasi caduta del tutto, dopo che si è visto che Arnolfo non potè
essere l'architetto originario del duomo. Messo così fuori di scena dal duomo, non si capisce
come e perchè dovrebbe rientrarvi a proposito della facciata, presa a costruirsi dieci anni almeno
dopo la morte di lui. Ma vi sono anche altre considerazioni da accampare. In quel disegno
monocuspidale il Fumi travede lo stile d'Arnolfo, e lo trova di mano diversa dall'altro tricu-
spidale, che è opera del Maitani. Tratteniamoci dunque un poco sopra questo benedetto stile
d'Arnolfo. Lo stile d'un architetto bisogna naturalmente studiarlo nelle opere sue ; ma delle opere
d'Arnolfo noi ne sappiamo così poco (perchè di quante gliene furono attribuite non tutte sono
sue, e quelle che veramente gli appartengono mutarono in seguito totalmente d'aspetto) che
davvero gli elementi di questo studio scarseggiano molto, e forse non sono sufficienti al bisogno;
tanto più che lo stile d'Arnolfo bisogna cercarlo nelle opere marmoree, perchè è soltanto in queste
che si rivela il carattere speciale e tutto sui generis dell'architettura fiorentina da lui instaurata.
La quale, a senso mio, è per conseguenza il testimonio più fedele, non dirò precisamente dello
stile di lui, ma sì del genio suo inspiratore, imperocché mi sembri naturale e logico che questo
genio debba riflettersi in essa, e che essa debba in lui rispecchiarsi.

1 Non si creda che qui vi sia contraddizione con quanto
ho detto nella nota precedente, perchè a Roma, antico
centro del classicismo, e nei paesi vicini seguivano la
scuola romanica tanto i maestri laici che i frati; ed è

si può dir quasi per miracolo che la città eterna ci mo-
stra in Santa Maria sopra Minerva l'esempio di una

chiesa ogivale, però anch'essa monastica ed opera di

frati a quanto sembra toscani.

2 I disegni di queste due antiche pergamene sono
stati già pubblicati in questo periodico nel voi. II, p. 185,
e rimando ad essi il lettore.

3 Op. cit., parte I, p. 10 a 19, ove possono consultarsi
le ragioni accampate dall'A. a sostegno della sua ipotesi.
 
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