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Archivio storico dell'arte — 4.1891

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Fasc. V
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Nardini Despotti Mospignotti, Aristide: Lorenzo del Maitano e la facciata del Duomo d'Orvieto
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https://doi.org/10.11588/diglit.18090#0371

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LORENZO DEL MATTANO E LA E ACCI ATA DEL DUOMO D'ORVIETO

339

Pi monumenti marmorei che siano veramente d'Arnolfo ce ne rimangono ormai due soli :
la sepoltura del cardinale De Bray in San Domenico d'Orvieto, 1 la quale è mancante di quella
parte architettonica che meglio varrebbe ad illuminarci, epperciò non ci giova gran fatto, ed il
ciborio della basilica di San Paolo a Roma. 2 II duomo di Firenze, parlo di quello immaginato
veramente da Arnolfo, è oramai scomparso dalla faccia della terra, e non resta di lui che la parte
inferiore del basamento co'suoi riquadri listati di nero. Abbiamo però tuttora il disegno della
vecchia facciata arnolfiana ritratto dal Poccetti in una lunetta del chiostro di San Marco, la qual
facciata è sempre quella d'Arnolfo, un po' rimaneggiata dopo le riforme del 1357, ma rimasta
intatta in alcune sue parti, e segnatamente nelle porte minori. E veramente queste porte minori,
fatta la debita parte a quella libertà che i pittori solevano permettersi a quei tempi, hanno
grandissima analogia col ciborio di San Paolo. «L'istessa cornice orizzontale sull'arco della lunetta
(pratica disusata nelle età posteriori); l'istessa cuspide alquanto schiacciata al di sopra della
cornice (forma arcaica anche questa) ; gli stessi pinacoli da lato, lo stesso civorio largo massiccio
e decorato da bifora su in alto; 3» lo stesso fare timido e incerto che rivela il contrasto fra il
vecchio e il nuovo e che accenna a uno stile di transizione, coni' era veramente e come doveva
essere quello d'Arnolfo. Imperocché il romanicismo della scuola fiorentina fu il più classico fra
quanti se n'ebbero in Italia; e bastino a provarlo (senza parlare del Battistero di San Giovanni,
che si direbbe addirittura romano) la Badia fiesolana, il San Miniato al Monte, la pieve d'Empoli
e il San Salvadore del vescovato, chiese tutte che paiono quasi opere del risorgimento quattro-
centistico, anziché dell'età medioevale. Era naturale pertanto che Arnolfo cresciuto in siffatto
ambiente, pur facendosi campione dell'ogivalismo, non potesse spogliarsi ad un tratto delle con-
suetudini della vecchia scuola, e che non gli fosse possibile abbandonare quella tendenza che
in essa era più radicata, voglio dire la tendenza alla linea orizzontale, linea classica e fiorentina
per eccellenza, che trionfa sempre anche nel periodo più spiegato dell'ogivalismo locale.

Se noi dunque consideriamo lo stile d'Arnolfo sotto questo punto di vista, e non so in
verità se si potrebbe considerare in altro modo, e se poniamo a confronto questo stile con quello
che ci è dato dalla vecchia pergamena anzidetta, o io addirittura m'inganno, o bisogna dire che
sono l'uno agli antipodi dell'altro. Imperocché questo disegno, oltre al non avere reminiscenze
di classicità e di orizzontammo, oltre al non presentare timidezze o titubanze di sorta, spiega
anzi tali tendenze verticali e tali ardimenti e tali esagerazioni nordiche, che non furono rag-
giunte dai nordici stessi se non un buon secolo dopo. 4 Cotesto disegno, riferito a un artista
della scuola fiorentina, sarebbe un fenomeno come non se n'è mai visti, perchè egli è davvero la
negazione d'ogni tradizione fiorentina così romanica come ogivale, per modo che a qualunque
altra scuola potrebbe fors'anco attribuirsi, alla fiorentina mai, tanto è ostico al genio, ai modi
e alle consuetudini di essa! Ora sarebbe strano davvero che uno stile venisse ripudiato così dura-
mente da quello appunto che ne fu il primo autore. Taccio poi la contraddizione di questo Arnolfo
che avrebbe fatto per Orvieto un duomo risolutamente romanico con una facciata terribilmente
ogivale ; che avrebbe verticaleggiato tanto ad Orvieto mentre orizzontaleggiava tanto a Firenze,
e che verso il 1282 avrebbe immaginata per gli Orvietani quella facciata inspirata a concetti
larghissimi, con quel grandioso e stupendo sistema unitario delle tre porte che gareggiano con
quelle più celebrate delle cattedrali francesi, e che poi dieci anni dopo, retrocedendo alla guisa
del gambero, avrebbe regalato a Santa Maria del Fiore quella facciata piccina, messa su a forza
di mezzucci, con quelle tre porticelle sconnesse fra loro e col resto, e che per quanto cercassero
in seguito di rabberciarla, condannata dagli uomini del quattro e cinquecento, bisognò all'ultimo

1 11 prospetto di questa sepoltura è riportato nel-
l'opera del Fumi, a p. 445.

2 Vedilo nell'opera di Gailhabaud, Monuments anciens
et modernes, voi. III.

3 Sono le parole che scrissi in altro mio lavoro in-
titolato: Il campanile di Santa Maria del Fiore, Fi-

renze, 1885, nel quale si leggono anche altre conside-

razioni intorno allo stile di Arnolfo, ed alla facciata
arnolfiana ritratta dal Poccetti nel chiostro di San Marco,
la quale si volle attribuire da alcuni senz'ombra di fon-
damento a Giotto.

4 Specialmente nella esagerata acuità delle cuspidi,
di cui torneremo a parlare fra poco.
 
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