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Archivio storico dell'arte — 4.1891

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Fasc. V
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Nardini Despotti Mospignotti, Aristide: Lorenzo del Maitano e la facciata del Duomo d'Orvieto
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https://doi.org/10.11588/diglit.18090#0378

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A. NARI)INI DÈSPOTTI MOSPIGNOTTI

esagerazioni di cuspidi, e le useranno soltanto di qui a 100 anni almeno, nel secolo xv, al
sopraggiungere dello stile flamboyant. L'offende poi il disequilibrio delle proporzioni che vi è in
tutte le parti costituenti la facciata. Sproporzionate le navi e le porte minori di fronte ai pilastri ;
sproporzionate di fronte alla nave e alla porta mediana; sproporzionate le cuspidi laterali e in
se stesse e di fronte alla nave rispettiva che tutta si divorano, e sproporzionate altresì di fronte
alla cuspide centrale, relativamente depressa; e così finalmente, in mezzo a tutte queste spro-
porzioni, s'accorge che se con que'suoi temperamenti ha reso gradevole all'occhio il contorno
terminale della facciata, ha sconciato però tutti i partiti interni della medesima.

E qui mi si lasci dire, fra parentesi, come anche questo fatto stia a dimostrare sempre più
che quel vecchio disegno monocuspidale non può essere il disegno definitivo d'una facciata dato
o lasciato da un architetto, ma unicamente uno studio, un esercizio intorno alla sua composi-
zione. Come studio, come lavoro di primo getto si capisce benissimo, si tollera e si trova anche
degno di meditazione; dirò anzi che è naturale, perchè è naturale infatti che sulle prime l'artista
dia libera briglia alla sua immaginazione per veder dove corre; ma come lavoro definitivo ò
un'enormezza che non si capisce; è un lavoro che si può ben disegnare, ma che non si può
eseguire, a meno che non si reputino degne d'esecuzione le fantasie più strane.

E Lorenzo nostro infatti è il primo egli stesso ad esser compreso di queste verità, e pensa
subito a frenare l'impeto di quelle sue prime impressioni ed a correggerne i deviamenti. Yede
anch'esso benissimo che quei pilastri, quelle porte, quegli sguanci e quelle cuspidi non possono
stare e che bisogna modificarli. Quei pilastri, quelli del centro almeno, bisogna restringerli;
quelle porte minori bisogna farle più larghe, più basse e meglio armonizzate in sè stesse e colla
porta centrale ; quei loro sguanci bisogna accrescerli e farli più espansi, e quelle cuspidi bisogna
correggerle di quella acuità spropositata, abbassarle e ridurle più conformi alle leggi del bello
ed al genio dell'arte nostra. Ma, ohimè! per far tutto questo bisogna allargare assai le navi
minori e togliere alla loro terminazione rettilinea il benefizio grandissimo di quella interruzione
eli' essa riceveva dall' invadente vertice di quelle cuspidi audaci. In una parola, bisogna rinunziare
a tutti quei temperamenti e benefizi che Lorenzo nostro s'era studiato con tanta industria in-
trodurre nel suo disegno per rendere accettabile il contorno di una facciata monocuspidale, e
bisogna contentarsi di una linea terminale dura, sconnessa e, questo è peggio, contraddittoria
alle tendenze dell'ogivalismo. Ma non se ne contenta già il valoroso nostro maestro. Corretta la
parte inferiore della facciata, modificati i pilastri, ricondotta l'armonia nelle proporzioni delle tre
porte, egli probabilmente rimane colpito dalla bellezza dì quel grandioso assetto organico tricu-
spidale, che assumono le porte medesime, e forse allora fa a dire a sè stesso : E perchè non si po-
trebbe fare altrettanto su in alto? Perchè non si potrebbero ripetere le cuspidi anche alla som-
mità delle navi minori e chiudere la facciata con un contorno tricuspidale?... Egli sente subito
l'opportunità di questo pensiero e l'afferra. Pone le cuspidi anche sulle navi minori ed ottiene così
una tricuspide che ha tanto maggior vaghezza di contorno e che non si porta dietro la necessità
degli errori lamentati. Ed ecco che la facciata tricuspidale ormai è fatta; ecco che Lorenzo ha
conquistato all'arte una nuova forma e bellissima. Da ora in là tutto quel più che sarà per ag-
giungervi saranno perfezionamenti, saranno, come le chiamano oggi, questioni di dettaglio, e non
vai la pena di soffermarcisi.

Ed ora che abbiamo potuto seguire di passo in passo il pensiero che condusse il Maitani
alla invenzione della tricuspide, ora che abbiamo veduto come egli stesso non accettasse di primo
impulso l'assetto tricuspidale siccome un fatto preesistente ed entrato ormai nel dominio dell'arte,
ma invece, partendosi da concetti del tutto diversi, facesse capo ad esso per ragioni di stile e
per forza di necessità estetiche, ora cadono più che mai quelle famose ragioni storiche ed archeo-
logiche spacciate già dal Selvatico e da' seguaci suoi per sostenere la convenienza e la necessità
di una facciata tricuspidale nel duomo di Santa Maria del Fiore, ed in grazia alle quali si pretese
stabilire, la tricuspide essere il tipo nazionale per le facciate delle chiese italiane sino dai tempi
d'Arnolfo ; di quell'Arnolfo che poneva mano alla fabbrica del duomo fiorentino allorquando Lo-
renzo nostro era quasi fanciullo, e che moriva dieci anni prima che la tricuspide fosse balenata al
 
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