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Archivio storico dell'arte — 4.1891

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Fasc. V
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Nardini Despotti Mospignotti, Aristide: Lorenzo del Maitano e la facciata del Duomo d'Orvieto
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https://doi.org/10.11588/diglit.18090#0386
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rere a quel filare di bassorilievi o di nicchie che hanno guastato l'occhio centrale e l'organismo
dell'insieme, non abbiano invece ripetuto anche al disopra dell'occhio quell'andito stesso o log-
getta che gli ricorre al disotto, e che ha presso a poco l'altezza medesima. La ripetizione di
quest'andito, magari a loggie cieche, avrebbe conservato all'occhio il suo incentramento, lo avrebbe
inquadrato in modo regolare ed organico, ed avrebbe cresciuto maestà al finale e alla cuspide
sovrapposta, figurando con quei suoi archetti a modo di cornice, come dicevano allora, imbecca-
tellata. Questo temperamento avrebbe evitato altresì un altro dissenso che oggi s'è introdotto
in quella regione della facciata : imperocché mentre la facciata in tutte le altre parti si può dire
che sia tutta musaico e niente statuaria, qui invece è tutta statuaria e niente musaico. Questi
risultati benefici non potevano conseguirsi che col mezzo d'un partito esclusivamente architettonico.
Quel filare di nicchie ripiene di statue, ove le linee predominanti sono scultorie, non raggiunge

10 scopo : le linee scultorie non possono mai legare, inquadrare e ricondurre nella composizione l'or-
ganismo come le vere e proprie linee di architettura. Ma forse queste linee architettoniche erano
troppo medioevali per quell'età ebbra di Risorgimento, e di qui la ripugnanza ed il danno. Im-
perocché se si fosse ripetuto l'andito anche là sopra, bisognava bene ripeterlo identicamente :
se ci avessero fatto invece una loggetta bastarda sullo stile del quattrocento, vi sarebbe stato

11 rischio che Michelangelo, e con ragione, vi avesse ravvisato daccapo la famosa gabbia da
grilli.

Mi rimane adesso a dire qualche cosa dei musaici, che materialmente ed esteticamente sono
tanta parte della facciata.

Senza entrare nel loro merito particolare, dirò soltanto che essi nella massima parte hanno
il peccato grosso (direi anche mortale) d'esser opera del tempo moderno. Non che la nostra facciata
non avesse già i suoi musaici antichi ; chè vi lavorarono, fra gli altri, Consiglio di Monteleone,
1' Oreagna, Ugolino d'Ilario, Pietro di Puccio, conosciuto anche come Pietro di Orvieto, specialmente
perle pitture del Camposanto di Pisa, fra Giovanni Leonardelli, Nello di Iacomino da Poma, Giovanni
di Neri Todinello, tutti del secolo xiy, e il Ghirlandaio e vari altri del secolo xv ; ma disgrazia-
tamente cotesti musaici si guastarono e non ne rimase altro che quello nella cuspide della
porta mediana con la data del 1366, e qualche altro piccolo frammento del 1355. Tutti i rimanenti
son roba moderna, e per giunta mediocre; migliore di tutti quello della gran cuspide mediana
rifatto nel 1836 prendendosi a modello una composizione di Sano di Pietro da Siena, rappre-
sentante l'incoronazione della Vergine. Del resto, fra i molti peccati che ha il Risorgimento al
cospetto dell'architettura, uno dei capitali si è quello di avere infranto il connubio delle tre
arti sorelle. Presso tutti i popoli del mondo, a partire dai tempi più remoti, e tanto più poi nel
medio evo, l'architettura, la pittura e la scultura procedettero sempre indissolubilmente congiunte:
dirò di più, la scultura e la pittura furono sempre ancelle subalterne dell'architettura. La pittura
poi (e conseguentemente il musaico) fu considerata fino alla Rinascenza come un complemento
decorativo dell'edilizio, intimamente legato alle sue masse ed alle sue linee e destinato ad arric-
chire e mettere in miglior vista le masse e le linee medesime. Col Risorgimento quest' intimo
e bel connubio delle arti venne addirittura a cessare, e fra l'architettura e la pittura in ispecie
la separazione fu completa e fatale. Il pittore non si occupò più che a dipinger tavole e tele
nel proprio studio e per conto proprio, e dice benissimo il Viollet-Le-Duc, « tanto esso che
l'architetto attesero ogni giorno più a scavare l'abisso che li separava, ed allorquando qualche
volta tentarono di incontrarsi su di un terreno comune, trovarono che non s'intendevano più, e
che volendo operare d'accordo non esisteva più legame che potesse riunirli».1 Ed in fatti da
quel tempo in poi le pitture murali ed i musaici che si pretesero fare a decorazione degli edifizi
non furono che altrettanti quadri appiccicati là in qualche luogo senza nessun rispetto alle linee
architettoniche, sì anzi a loro continuo dispetto ed offesa. Ed a questo modo appunto son fatti
i musaici moderni della facciata del duomo di Orvieto, che sciupano, sfondano, sbranano e fanno
strazio di quel nobile edilizio, specialmente poi quelli delle cuspidi minori, che architettonicamente

1 Dictionnaire raisonné de Varchitecture frangaise, t. VII, alla voce Peinture, p. 58.
 
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