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Archivio storico dell'arte — 4.1891

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Fasc. VI
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Boni, Giacomo: Il Catasto dei monumenti in Italia
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https://doi.org/10.11588/diglit.18090#0454
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422

GIACOMO BONI

Ogni studio deve i suoi progressi alla disciplina del metodo, che colma lacune, sorpassa
ostacoli, colloca e valuta gli elementi singoli secondo il posto die loro spetta, e scopre le leggi
che concatenano i fenomeni, quelle leggi che aprono all' empirismo il santuario della scienza.

Isacco D'Israeli, padre di lord Beaconsfield, attribuiva a Machiavelli la scoperta del secreto
di quella che chiamava storia comparata, e riconosceva nei suoi Discorsi su Tito Livio la prima
base della filosofia della storia, la cui orbita fu poi compresa da Giambattista Yico nel suo
vasto sistema.

Come si applichi il metodo storico ce lo insegna Lodovico Muratori, il quale, se non ha
potuto sempre avere in mano i manoscritti originali delle cronache che pubblicava, nè istituire
confronti tra le varie lezioni dei codici e studiarne le varianti, nò valersi di mezzi fotomeccanici
di riproduzione, raccoglieva però nelle Antiquitates italicae, sintetizzava negli Annali, il materiale
primo pel catasto del nostro patrimonio storico, catasto che va ora man mano formandosi col
lavoro di ricerca delle Deputazioni di storia patria.

Le leggi naturali che guidarono l'umanità nel cammino percorso vanno così sufficientemente
delineandosi nella sua storia, ma quelle corrispondenti che regolarono lo sviluppo delle arti sono
appena intravvedute. Eppure, ben più del racconto d'una battaglia o d'una tregua, ben più delle
controverse etimologie, ben più dei nomi e delle date senza corpo e senz'anima, ci può dare
talvolta una giusta idea di ciò che fosse un popolo antico anche un solo avanzo di muro.

I monumenti architettonici dicono quello che molti storici non sanno dirci, se cioè un dato
popolo era o non era forte, qual era la sua capacità di godere e di soffrire, chi erano i suoi pro-
genitori, con quali altri popoli aveva rapporti, che cosa e come immaginava e sentiva, quanto e
come estrinsecava le sue concezioni. Essi, giustamente osservava il Freeman, ci parlano dei tempi
ai quali appartengono in una maniera più viva ed in certo qual modo più personale che la
maggior parte di altri monumenti o documenti. La vista di essi, aggiunge Gregorovius, fa sì
che noi possiamo colla nostra immaginazione dar vita e corpo al passato.

Anche limitandoci ad osservazioni di cose ritenute puramente materiali, e nelle quali non
sembra affatto implicata la parte più nobile delle facoltà estetiche di una razza, alla lucidatura
dei marmi, per dirne una, notiamo come tanto fra i popoli dell'antichità quanto nell'evo medio
e nel Rinascimento è possibile riconoscere una specie di parabola che per ogni civiltà viene
percorsa dal metodo di lavorazione delle superfìcie visibili delle pietre decorative, cosicché, a chi
ne ha sufficiente pratica, ò dato pure riconoscere con questo solo dato l'origine di una parte
d'un edificio e di assegnargli il posto dovuto nella vita del popolo che ce l'ha tramandato. Dunque
alla stessa guisa che la metodologia della storia suppone una qualche pratica della paleografia,
della filologia, del diritto, ecc., così quella parte di essa che riguarda lo studio degli edifici
monumentali sottintende la conoscenza dei materiali da costruzione, dei metodi di lavorazione e
d'impiego, dell'azione esercitata su essi dal tempo in quanto è esponente della loro antichità e
attestato della loro autenticità, suppone il saper indicare il carattere artistico proprio delle parti
monumentali di un edificio, il saper differenziare gli elementi stilistici di ciascuna di esse.

Se, per applicare il fine qui detto, scegliamo a mo' d'esempio l'infanzia del medio evo e
trascurando le prime invasioni barbariche ci soffermiamo al periodo ostrogoto e proiettiamo
idealmente sull' Italia una immagine delle sue condizioni storiche durante la prima metà del
secolo yi, per vedere se in ciò che sopravvive degli edifici d'allora v'ha qualcosa che sia carat-
teristico di quel momento di respiro tra mezzo alle sciagure che affliggevano la patria nostra,
giudicheremo qual monumento di grande importanza alcuni rappezzi di muro fatti nello Stadio
palatino al tempo di Teodorico, con rottami di serpentino, di porfido e di altri marmi preziosi,
barbaramente mescolati e più barbaramente cementati assieme.

Se arriviamo fino alla dominazione greca, troviamo anche a Roma, nelle fortificazioni ag-
giunte da Belisario pochi anni dopo la dominazione ostrogota, una tecnica speciale, e con essa
giudicheremo monumenti importanti dell'epoca talune costruzioni, che, se fossero d'altro periodo
storico ripetute mille volte, non avrebbero tutte la stessa importanza.

Così scendendo alla dominazione longobarda, ci si rivelerà come monumento di massima
 
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