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Archivio storico dell'arte — 4.1891

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Fasc. VI
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Ridolfi, Enrico: Di alcuni ritratti delle Gallerie Fiorentine
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https://doi.org/10.11588/diglit.18090#0483

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451

lidare le nuove designazioni. E come era pur nostro convincimento che dovesse vedersi nella
Velata quel ritratto dell'amante di Raffaello, che il Yasari attestò essere di lui, quel ritratto
che Matteo Botti, il gentile mercante fiorentino, comprò e tenne come indubitata opera del Sanzio,
e come tale fu ammirata in casa dei discendenti suoi finche se ne sperse la traccia; così con
gran cura ci demmo a riprendere in esame la questione da' suoi principi, e a ricercare se potesse
esistere qualche memoria della famiglia Botti, che ponesse fuor di ogni dubbio il nostro convin-
cimento. E le insistenti indagini sortirono per quel ritratto esito fortunatissimo.

Se il cav. Tommaso Puccini avesse con minore leggerezza accolte le comunicazioni fattegli
dal Galluzzi, e le avesse più ponderate, avrebbe risparmiato alla storia dell'arte la sua scoperta,
e il battesimo di Fornarina dato ad un bellissimo dipinto, che i più antichi inventari della Gal-
leria dichiaravano, è vero, di mano di Raffaello, ma che, come si è veduto, non poteva aver
nulla di comune col ritratto dell'amata di lui ammirato dal Yasari in casa dei Botti. E in quella
vece si sarebbe dato cura di indagare, se altro ritratto delle raccolte medicee potesse avere
i caratteri del ritratto ricercato.

Ma più severi si dovrà essere verso il canonico Moreni, il quale, se avesse adoperato, non
diremo già con migliori principi di critica, ma solo più coscienziosamente, si sarebbe trattenuto
dallo scagliare accuse di sognatore, d'inventore di documenti, ed altre contumelie contro il povero
Galluzzi, prima di aver fatto diligenti indagini in quell'Archivio, nel quale egli affermava che i
documenti esistevano. Mentre senza farne alcuna, con tanta asseveranza e tanta animosità dichiarò
insussistenti le asserzioni del Galluzzi, che i susseguenti critici, riposando sulla fede sua, per
quasi un secolo ignorarono un fatto di capitale importanza per la storia di quel ritratto ; e così
per sua colpa si perpetuò il buio, ove da tanto tempo avrebbe potuto esser fatta la luce.

Ora, lo storico Galluzzi che aveva avuto agio di esaminare i documenti dell'Archivio mediceo
(e lasciamo affatto da parte se fosse per malmenare, come disse il Puccini, la Storia dei Medici, lo che
non è ora per noi di nessuna importanza), non sognava nè inventava davvero parlando al Puccini
di un lascito fatto da un Botti al granduca Cosimo de' Medici; amplissimo e splendidissimo lascito,
intorno al quale esistono numerosi atti nell'Archivio notarile e in quello mediceo.

Soltanto il Galluzzi, avendo esaminato tali documenti, non potè mai (come erroneamente
intese il Puccini) avvisarsi di parlare del granduca Cosimo I e di un figliuolo di Matteo Botti, il
mercante fiorentino di cui ragiona il Yasari; bensì di un più tardo discendente di lui, e del granduca
Cosimo II dei Medici.

Matteo Botti, pronipote del ricco mercante, marchese di Campiglia, confidente del granduca
Ferdinando I, e poscia ambasciatore straordinario alla Corte di Spagna pel figliuolo di lui
Cosimo II, fu quegli che nel 1619 istituiva erede universale di sue sostanze mobili, immobili e
semoventi, crediti ed effetti presenti e futuri, il serenissimo granduca Cosimo, del serenissimo
granduca Ferdinando, suo signore; e « nel caso di sua morte, tutti i figliuoli discendenti di
Sua Altezza in infinito ».

Il marchese Matteo Botti nacque da Giovambattista di Simone di Matteo Botti, e da Cate-
rina d'Alemanno di Bernardo d'Alemanno de* Medici,1 maritati l'anno 1561. Ebbe un fratello
minore per nome Giovambattista, che come esso visse celibe e morì innanzi a lui. E sono
appunto questi i fratelli Matteo e Giovambattista Botti, che nel 1584 venivano lodati dal Bor-
ghini, e nel 1591 da Francesco Bocchi nelle Bellezze di Firenze, come giovani di rare qualità,
e nella cui casa, insieme con altri dipinti di pregio, ammiravasi il ritratto della giovane di bel
sembiante e leggiadro dipinto da liaffael da Urbino.

Matteo fu cavaliere di Santo Stefano e maggiordomo del granduca Cosimo II, « ed essendo
gentiluomo molto esperto nel trattare gli affari » 2 venne insignito dal suo principe dell'ufficio
di ambasciatore straordinario alla Corte di Spagna, ove già trovavasi nel 1610, e dove in quello
e negli anni successivi non mancarongli delicatissimi e difficili affari.

1 Archivio di Stato di Firenze, Spogli dell'Ancisa KK, 2 Galluzzi, Istoria del granducato di Toscana, libro VI,

iris. 334, c. 476to. c<ip. I.
 
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