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Archivio storico dell'arte — 5.1892

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Fasc. II
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Supino, Igino Benvenuto: Il pergamo di Giovanni Pisano nel duomo di Pisa
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https://doi.org/10.11588/diglit.18091#0111

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78

IGINIO BENVENUTO SUPINO

randosi dentro cominciò a spargersi per tutta la chiesa inaino a tanto clie il piombo vinto dal
soverchio calore del fuoco, cominciò a poco a poco a struggersi e liquefarsi et così strutto cominciò
a piovere dalla gronda come fa l'acqua, intanto avendo il fuoco consumato e travicelli che soste-
nevano il tetto intorno al comignolo sopra alla porta del mezzo, mancò il sostegno al piombo
onde quello clie per ancora non era finito di struggersi cadendo drento in chiesa lasciò aperta
una spaventevol' buca nel tetto sopra alla detta porta, fuori della qual buca uscì a un tratto una
nera e folta nugola di fummo che continuamente discorreva sopra al tetto di quella chiesa e subi-
tamente fu secondata dall'ardenti fiamme che ed le vive lingue di sopra fuori dal tetto terribil-
mente avanzavano. Già era vicino all'otto ore di notte quando il fuoco era di già passato alla
trave del secondo cavalletto e cominciava a manomettere il terzo allargando tuttavia di sopra
la buca del tetto. Et essendo le cose a si mal termine condotte per essere tal Duomo fuori del-
l'abitato della città, in luogo solitario e lungo le mure, non era per ancora stato scoperto questo
irreparabil danno da persona veruna. Quando una guardia della Porta nuova della città, che è
vicina alla detta Chiesa, o che per caso si abbattessi o pure eccitato dal romore si risentissi, vedde
egli primo così orribile spettacolo e tutto spaventato si messe a gridare correndo per la città.
Onde sollevatosi il popolo, cominciorono a sonare a fuoco gran parte delle Chiese di quella, ma
non sonavano già le campane di quella stessa Chiesa maggiore che abbruciava, perchè il campanaio
che teneva la chiave della Chiesa e del campanile, dormendo, non sapeva niente dell'incendio et
essendogli dalla gente a furia picchiato l'uscio, levandosi sonnacchioso e sentendo quel che era,
sbalordì di tal sorte che non sapeva dove si aveva le chiave et entrogli si fatta la paura addosso che
voleva fuggirsi o nascondersi temendo di non essere preso dandosi la colpa a sè di questo fatto. Onde
seguì che il campanile non si aperse ne meno una porta della Chiesa che è verso detto campanile
et risguarda la città d'onde si entra per l'hordinario se non molto più tardi come si dirà di sotto.
Intanto il popolo sollevatosi da tutte le strade correva al Duomo, corsonvi ancora le guardie
del fuoco e non potendo entrar drento non sapevano che farsi, spaventati ancora dalla terribil
furia dell' incendio. Imperocché quando vi cominciò a giugnere il popolo, aveva il fuoco preso tanta
forza che discorreva in qua e in là spaventatamele a guisa d'un fulmine e faceva sopra a quella
Chiesa una foltissima nugola di fummo che pareva si alzassi insino al cielo. Il piombo della coperta
con tanta furia pioveva strutto dalle gronde del tetto, che pareva acqua quando piove rovinosamente
con la maggior furia che soglia venire dal cielo. Onde grande era il fuoco, molto maggiore il
fummo et incredibile lo strepito el fracasso che resultava dal mormorio della fiamma e dalla
rovina del legname e del piombo che cadeva e drento in Chiesa e fuori lungo la gronda. Il
qual piombo accresceva più presto lo spavento e talmente, che il popolo non sapeva ne poteva
pigliare resoluzione alcuna standosi ognuno dalla lunga. Et veggendo pure che se fussi potuto
entrare in Chiesa per la detta porta che guarda verso il campanile, prima che il fuoco fussi pro-
ceduto più avanti, si sarebbe potuto fare qualcosa, però comineiorno molti a fare instanzia che
le chiave si trovassino per aprire la detta porta. Finalmente trovate le chiavi, sendo oramai
vicino alle dieci bore e poco meno di due bore doppo che il fuoco fu scoperto da quella guardia
detta di sopra. Entrorono drento adunque alcuni più animosi delli altri, i primi de quali furono
un Alessandro Bianchini e un Guasparri di Francesco Gaiasparri che per la coraggiosa opera
che feciono, meritano che i nomi loro vivino in eterno. Costoro risguardando animosamente il
tutto, veddono che il caso era disperato e giudicorono che non vi fussi più rimedio. Era quella
Chiesa drento come una grandissima fornace di fuoco anzi come un orribilissimo Mongibello.
Nella quale era uno spavento immaginabile a vedere con quanta furia il fuoco camminava, man-
dando giù continuamente una rovinosa pioggia di legname acceso, che giù per quella nave della
Chiesa dal tetto precipitosamente cadeva in terra, dove giunto e appiccando il fuoco alle panche
a' gradi et altri legnami sopra a' quali giù per la chiesa soleva sedere il popolo, si raddoppiava
l'incendio. Onde pareva che il pavimento di quella Chiesa tutto coperto di fiamme, di legname
che ardeva gareggiassi col tetto che più che mai ardente mandava giù del continuo nugole di
fuoco. E sopra a tutto vinceva ogni spavento l'impetuosa furia del cadente piombo che con le
spesse e gran cadute dando gravissimi colpi in terra e sopra alle cose che ivi ardevano, faceva
 
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