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Archivio storico dell'arte — 5.1892

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Fasc. IV
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Fasc. V
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Boni, Giacomo: Il leone di San Marco: (bronzo veneziano del milleduecento)
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https://doi.org/10.11588/diglit.18091#0362

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GIACOMO BONI

La doratura del leone veneziano, della quale resta tanto poco, è pur essa un indizio della
sua origine, mentre invece così resistente è la doratura dei quattro cavalli greci, ben più antichi,
che gli stanno quasi accanto, e mentre di altri bronzi antichi, ad esempio la statua equestre di
Marco Aurelio, ci resta tanta parte della originaria doratura. Nò devesi credere che taluni bronzi
antichi abbiano perduta la doratura perchè non ne mostrano traccia alcuna; molti fra essi non
furono mai dorati, uno tra questi era l'Alessandro fanciullo, di Lisippo; sappiamo che Nerone,
a cui piaceva assai, lo fece dorare, ma che avendo il bronzo perduto la finezza dei particolari
fu di nuovo raschiato, e si stimava più prezioso : etiam cicatricibus operis atque concisuris, in
quibus aurutn hasserat, remanentibus.

Gli antichi doravano il bronzo o lasciavano che assumesse col tempo la bella patina verde,
colorenti jucundum, che apprezzavano e che sapevano essere specialmente prodotta se tenuto esposto
al sole dopo averlo unto, qualem adfedant oleo ac sole; sapevano parimente che, non volendoli
ungere di olio, gli oggetti di bronzo si ossidano più facilmente quando sono ripuliti che quando
sono negletti: JEra extersa rubiginem celerius trahunt, quam neglecta, nisi oleoperungantur. (Plin.,
XXXIV, 20). La regolare formazione della patina richiede una periodica spolveratura delle sinuo-
sità e recessi, e perciò anche in pieno medio evo troviamo inciso sulla porta di bronzo del San-
tuario di Montesantangelo (fusa a Costantinopoli nel 1076), un'epigrafe nella quale l'artefice affida
ai custodi del Santuario l'annuale ripulitura:

f ROGO ET ADIVRO RECTORES SCI ANGELI MICHAEL • VT SEMEL IN ANNO
DETERGERE FACIATIS HAS PORTAS SICVTI NOS NVNC OSTENI ) E1 ! E FECIMVS VT
SINT SEMPER LVCIDE ET CLARE.

La porta essendo tutta istoriata colle apparizioni angeliche della mitologia semitica, ad in-
tarsi d'argento, è supponibile che questi dovessero mantenersi a metallo brunito. I canonici di
San Michele hanno invece, pochi anni or sono, fatto restaurare gli intarsi e fatto raschiare,
aridi morsa pumicis, l'antico bronzo.

Gli etimologi fanno derivare il nome di bronzo, ch'è ora comune a tante lingue d'Europa,
da Brindisi [Brundusiuni)ì o dal colore bruno, o da brunire, o dalla gemma creduta meteorica
e perciò chiamata brontea, o dallo scandinavo bras (che invece vuol dire ottone), o dalla
radice BHRAS (lucere) rimasta sterile nel sanscrito, o perfino da obryzum. Meno Diez, Pictet e
Kòrting, i più se la cavano citando Plinio, il quale asserisce che i migliori specchi adoperati
dagli antichi, cioè prima che Pasiteles ne facesse d'argento, erano i brundisini, fatti d'una lega
di rame e stagno, vale a dire fatti di bronzo: optima «pud maiores fuerant BRVNDISINA, stanno
et aire mixtis; pregiata sinit ARGENTEA. (H. N., XXXIII, 45). Niente però c'impedisce di sup-

]a sua opinione che il leone di San Marco possa essere
di origine etrusco, e ha fatto passare sotto gli occhi
degli accademici lo fotografie di alcuni monumenti etru-
schi, specialmente di un grifo alato e d'una chimera, i
quali presentano, a suo modo di vodcre, una grando
analogia col leone di Venezia.

M. Menant fece allora notare all'Accademia che
questo leone non ha niente che possa farlo credere
assiro. Basta infatti compararlo al leone di bronzo sco-
perto a Khorsabad ed ai leoni alati di Nimroud per
convincersi che non ha alcun rapporto coll'arte assira.
E M. Casati soggiunse che MM. Henzey et Maspero gli
hanno dichiarato di non conoscere alcun bronzo assiro
o egiziano, raffigurante un animale, che presenti le di-
mensioni e i caratteri del leone di Venezia o dei due
monumenti etruschi, la chimera e il grifo, da lui se-

gnalati. (Comptes rendus, p. 261).

La chimera di cui si tratta (come mi scrisse poi lo
stosso M. Casati) è quella del museo etrusco di Firenze,
e il grifo è quello di Cortona, ora a Leida; due bronzi
etruschi che non rassomigliano certo al leone veneziano,
che non ne hanno le dimensioni e i cui particolari sti-
listici avvalorano anzi certi dubbi sulla origine della
stessa lupa capitolina.

I monumenti conosciuti da M. Casati, come pure i
leoni etruschi della grotta Campana a Veii, della Lo-
cumella di Vulci, e i due di Cervetri che stanno innanzi
alla porta dell'Istituto archeologico sul Campidoglio,
hanno che vedere col bronzo veneziano ancor meno dei
leoni assiri; così M. Casati farebbe meglio a credere a
quel dotto assiriologo ch'egli racconta aver detto che
il leone di Venezia è medioevale.
 
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