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Archivio storico dell'arte — 5.1892

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Fasc. IV
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Fasc. V
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Gnoli, Domenico: La Cancelleria ed altri palazzi di Roma attribuiti a Bramante
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https://doi.org/10.11588/diglit.18091#0380

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334

D. GNOLI

più svolte; il cornicione a semplici lince, senza ovoli, nò dentelli, nò fusaroli, nò archetti. L'ar-
chitettura, che sotto il pontificato di Paolo TI, nel cortile e nel portico inferiore della facciata
di Sun Marco e nella loggia della Benedizione al Yaticano, seminava accennare a forti rilievi
e al pieno sviluppo degli antichi ordini architettonici, nell'ultimo quarto del secolo si era pie-
gata ad un tipo, non senza grazia, ma timido, semplice fino ad essere secco e quasi stereoti-
pato nelle poche sue forme. Le porte, lo finestre, i capitelli, le modanature sono eseguite!, non
in travertino, ma in marmo, di cui se no traeva a dovizia dalle rovini! dogli antichi monumenti.
Lo scultore, entro alle linee assegnategli, intaglia le sue candeliere, i suoi fusaroli, i suoi rabe-
schi nelle porte e nelle finestre, formando col fine scalpello di Mino da Fiesole e d'altri toscani
un'ornamentazione minuta, indipendente dalle linee dell'edificio, che si potrebbe trasportare senza
danno da una fabbrica all'altra; e in molti casi, come nella porta maggioro di Sant'Agostino,
tanto fino c leggera, che non si vede se non mettendovi gli occhi sopra. Nei monumenti sepol-
crali, di cui abbiamo tanta dovizia, lo scultore prevaio all'architetto; ma anche qui lo stesso
ordine architettonico, un corintio svelto, delicato, un capitello esile, in cui i caulicoli e l'abaco
escono appena fuori della linea verticale dei pilastri, con una ornamentazione leggera e quasi
trasparente, che lascia vedere dentro il capitello la prosecuzione del pilastro stesso. E un capi-
tello di tipo toscano, che scultori di quel paese avevano diffuso per tutta Italia; ma quando
per lo più negli editici maggiori si adoperavano le forme solenni del corintio e del composito
rimesse in uso dal Brunellesehi, qui in Roma dominava pressoché solo quell'esile corintio, e in
forma generalmente più timida e secca che non altrove. Nelle costruzioni romàne di quell'età, dove
prevale lo scultore, l'opera appare fine, elegante; dove l'architetto, essa riesce alquanto fredda e
incolore, poiché l'effetto architettonico non risulta tanto dalla struttura organica dell'edificio,
quanto da una decorazione superficiale e quasi da un'incrostazione ornamentale su pareti piane.

Tn questo stato era in Roma l'architettura quando vi giunse Bramante. Se il Vasari non ci
avesse detto che egli andava, solo e cogitativo, misurando le vestigia degli antichi monumenti,
noi lo argomenteremmo ugualmente dalle sue opere. In età di oltre f>~> anni, alla vista delle ve-
stigia romane, egli trovò in se tanto di vigore da rinnegare il suo splendido passato e la scuola
l'ondata da lui, e che proseguì a fiorire lungamente dopo l'abbandono del maestro, per rifarsi a
nuovo e fondare una nuova scuola, l'iii che riformatore, egli fu innovatore, e il rivolgimento fu
subito, intero, quasi violento. B tempietto rotondo a San Pietro in Molitorio, posto sul limitare
del Cinquecento (fu compiuto nel 1502), separa il Bramante lombardo dal Bramante romano,
divide l'arte di due secoli: esso fu il segnacolo della rivoluzione, la bandiera dell'arte nuova.

Fino a quel giorno l'architettura si era venuta appropriando, dovi! più, dove meno, gli
elementi dell'arte antica, ma componendoli a suo modo, trasformandoli, adattandoli, traducendoli,
per così dire, nella lingua del Quattrocento: per la prima volta si aveva in quel tempietto, non
piii una traduzione, non più una ricomposizione moderna di antichi elementi, ma l'arte antica
essa stessa nel concetto, nell'organismo, in tutti gli elementi, in tutto le leggi che la regge-
vano: un tempietto quale si sarebbe potuto trovare lungo la via Appia o tra gli avanzi di una
villa romana, senza che nulla ne tradisse la modernità. Gli architetti corsero a studiarlo ed a
misurarlo, come si faceva dei monumenti dell'antichità, e il tempietto, la prima opera antica
dell'età moderna, prese posto, unica eccezione, nello collezioni dei monumenti antichi. Ma questo
non era che un primo passo; venuto in favore di Giulio II, sollevò l'animo a nuovi ardimenti ;
a Belvedere e nello Logge volle sovrappórre le une alle altro le arcate e gli ordini architet-
tonici del teatro di Marcello e del Colosseo; a San Pietro si diodo a girare sovra immensi
piloni gli archi colossali delle Torino e del cosidetto tempio della Pace; e lo stesso Pantheon,
il monumento a cui gli artisti si avvicinavano paurosi come all'opera di un secolo di giganti,
egli concepì il disegno di farne un nuovo, e sollevarlo sulle vólto ricostruite dello Terme. Tanta
novità di audacia era misurata all'animo di Giulio II; il papa gagliardo, in cui riviveva lo spi-
rito dell'impero, aveva trovato in Bramante l'architetto imperiale: mirabile in questo, che lo
studio o l'appropriazione dell'arte antica non soffocò in lui la facoltà di usarla e comporta con
libera inventiva, come avrebbe fatto un antico architetto.
 
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