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Archivio storico dell'arte — 6.1893

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Fasc. V
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Frizzoni, Gustavo: I capolavori della Pinacoteca del Prado in Madrid, [3]
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https://doi.org/10.11588/diglit.18092#0370

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322

G. FRTZZONI

dell'immensa quadreria. Dovendo rammentarle in breve, s'incomincierà a notare ch'esse,
non meno di quelle del Velazquez, si riferiscono ai più svariati soggetti. Che i religiosi
non siano quelli più adatti all'indole sua, è cosa da gran tempo risaputa. I mitologici, se
si scostano affatto dagl'ideali dell'arte classica propriamente detta, gli porgono l'occasione
allo sfoggio del suo freschissimo e succoso colorito, sia nella rappresentazione del nudo, sia
pure negli sfondi a paesaggio, di maravigliosa trasparenza e prospettiva aerea. Vorrei evocare
in proposito una certa Caccia di Meleagro (n. 1583), una Riunione delle tre Grazie (n. 1591)
e via dicendo, condotti con un'esuberanza di vita, con un senso dell'effetto pittorico vera-
mente da grandissimo artista. È bensì vero che ai pregi si contrappone, in modo flagrante,
la sua tendenza al materiale, al sensuale, dove si mette a trattare il nudo. Per questo ri-
spetto egli riesce ad appagarci maggiormente quando si mette a trattare il ritratto, nel
qua] genere non gli vuol essere contestato il vanto di appartenere al novero dei più emi-
nenti ingegni. E, infatti, che si saprebbe immaginare di più brillante, di più spiritoso che
un ritratto di Rubens? E quale tesoro non vien considerato al giorno d'oggi da qualsiasi
raccoglitore, tanto pubblico quanto privato, una effigie di lui!

Anco di queste la R. Galleria di Madrid porge alcuni memorabili campioni. Il più im-
portante, non meno pel soggetto che per la vastità della superfìcie, è quello dov'è rappre-
sentato Don Ferdinando d'Austria, fratello di Filippo IV, a cavallo nella battaglia di Nòrdlingen,
vinta dagli imperiali il G settembre del 1634. Il dipinto viene compiuto in alto dall'apparizione
di una Vittoria (figura nella quale si manifestano piuttosto i difetti dell'autore); è accom-
pagnata questa dall'aquila austriaca, ed intesa a lanciare i fulmini contro l'esercito della
lega protestante, che vedesi in lontananza, sbaragliata nel paese che forma il fondo del
quadro. Come esecuzione ci attrae la foga geniale del pittore, che rende con lucentezza tutta
sua il florido viso del suo protagonista, vestito di corazza, con fascia rossa svolazzante, ben
seduto in arcioni sopra un vivace destriero che si slancia sul terreno, appoggiato unicamente
sulle gambe posteriori, come si compiacque alla sua volta ritrarli anche il Velazquez.

Altro personaggio storico da lui trattato è quello della regina di Francia, Maria dei
Medici, che fa distinta mostra di se nella più volte rammentata grande sala d'Isabella II.
Sta seduta in abito vedovile, più di mezza figura, e va osservata pur essa per la freschezza
e la trasparenza delle tinte.

Nè vuoisi dimenticare, per un altro verso, il ritratto di Tommaso Moro, il noto gran
cancelliere d'Inghilterra, che fu fatto decapitare da Enrico Vili; curioso se non altro come
esempio di una copia che il Rubens trasse da altro più antico esecutore dal vero, dotato di
qualità affatto diverse dalle sue, cioè dal celebre Hans Holbein.

Del re Filippo IV, che mostrò grande deferenza al Rubens, il Prado non possiede alcuna
effigie di mano di quest'ultimo; non posso ristare invece dal rammentare l'effigie del re
nella florida età, mirabilmente dipinta e rappresentata in figura intera, tuttora conservata
in una delle principesche sale del palazzo Durazzo di Genova.

Accanto ai ritratti di Rubens poi ecco quelli dello scolaro Van Dyck. Nessun dubbio
che il nesso per cui quest'ultimo si congiunge al primo, vi sia ben palese. Nè si vorrà negare
che lo scolaro andasse debitore al maestro, in gran parte, del successo ottenuto dalle opere
sue. Nulla di meno, quanto divario fra la natura dell'uno e quella dell'altro! Mentre dal
pennello del primo la vita trabocca immediata e spontanea, in accordo col suo modo di
concepire e di vedere, il secondo, più raffinato, più elegante, più aristocratico, dipinge spesso
secondo un certo tipo preconcetto che si ripete: il maneggio del suo pennello quindi torna
spesso agli stessi effetti, le forme umane diventano per lui quasi intercalari di convenzione;
le sue dame, i suoi cavalieri, infine, paiono appartenere quasi tutti alla stessa famiglia.

Non v'è altra Galleria al mondo, credo, nella quale il contrasto accennato si possa
avvertire meglio che nella R. Pinacoteca di Monaco, ricca di opere d'entrambi i pittori.
Ciò non toglie, a vero dire, che il Van Dyck non sappia pur anco raggiungere il sublime
nel suo genere, interpretando fedelmente la natura umana. Si sa, per esempio, quanto egli
 
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