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Archivio storico dell'arte — 7.1894

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Fasc. III
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Calzini, Egidio: Marco Palmezzano e le sue opere, [1]
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https://doi.org/10.11588/diglit.19206#0236

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194

rappresentazioni della leggenda di San Cristoforo. Nel primo a destra, in alto, nella In-
neità, divisa verticalmente in due spazi uguali, vediamo il re a caccia. Egli procede in
mezzo a due falconieri, come lui, a'cavallo, mentre per la prima volta s'incontra, sul
limitare del bosco, col miracoloso scudiero. Altri cavalieri seguono il re; dietro di essi si
vede un paese aspro e roccioso, con una piccola parte di cielo e di pianura a destra, con
alcune pianticelle ed il fiume sul davanti della scena.

Nell'altra parte della lunetta è figurata una piccola stanza, ove il re, anche qui con
la corona in capo, siede e discute col giovinetto, divenuto grande, e che gli sta dinanzi
in piedi, mentre diversi personaggi della Corte ascoltano attenti le parole del monarca e
del santo. Fuori è un nano che sembra origliare alla porta della stanza.

La terza scena è nella seconda schiera, a destra di chi guarda: San Cristoforo, già
adulto, tiene nella sinistra il leggendario bastone fiorito, e nella destra stringe la palma,
mentre predica ad uno stuolo di guardie del palazzo la religione di Cristo. I guerrieri lo
ascoltano e lo venerano in ginocchio. Il momento è solenne: la scena non manca di gran-
diosità. Ricco è lo sfondo del quadro, costituito da un atrio sontuoso con pilastri e capi-
telli intagliati, fregi e figure in rilievo sopra gli archi, cornici e ornamenti del Quattro-
cento. In alto, su grossi festoni libransi alcuni putti alati, uno dei quali regge alla sua
destra lo stemma gentilizio. Sotto gli archi di fronte, all' aperto, la campagna ed il cielo.
I due primi quadri sono d'autore ignoto ; ma lo Schmarsow crede che appartengano allo
stesso Ansuino, poiché le differenze che passano tra questi e quello della terza scena, fir-
mato dal nostro pittore, non sono abbastanza nette e precise per trarne ancora una terza
personalità ; mentre le qualità comuni a tutti e tre questi quadri sono affatto differenti da
tutte quelle squarcionesche; ne è possibile immaginare due artisti così somiglianti venuti
qui l'un dopo l'altro a dipingere queste scene. Anche una medesima cornice, giustamente
si nota, cinge questi tre riparti. Si può anche osservare che, nel mentre la istoria procede,
cosi progredisce e migliora il lavoro dell' artista, il quale, giunto alla fine del suo terzo
quadro, vi pone sotto il suo OPVS ANSYINO. A lui seguì Bono Ferrarese, al quale si
affidò la quarta parte della parete, ove, seguendo l'esempio del collega, segna alla sua
volta il suo proprio nome: OPVS BONI.

In questi affreschi l'Ansuino si mostra artista forte e massiccio ; ma con tutte le du-
rezze e le sue imperfezioni ninno vorrà negargli una certa grandiosità ed imponenza. I
cavalli, con le gambe ineleganti, le unghie grosse e pesanti, e le teste in istrani scorci,
accusano lo stesso temperamento di del Castagno, come osserva il dotto tedesco, nel suo
cavallo di Niccolò da Tolentino, ora nel duomo di Firenze:1 ma noi troviamo che l'An-
suino lo rammenta ancora, conservandone il gusto e le forme severe, nell' architettura e
nella decorazione superiore della scena da lui sottosegnata, ove dipinse festoni e frutti
che fanno tornare alla mente quelli graziosissimi dallo stesso Ansuino dipinti a Legnaia
nella villa Pandolfini, oggi a Firenze, trasportati sulla tela. Che se in queste dell'Ansuino
trovasi minor grazia e correttezza, coni' è, del resto, in tutti i suoi personaggi più pesanti
e più rigidi che non siano quelli del pittore toscano, non ad altro dobbiamo attribuirlo
che al carattere suo individuale d' artista, il quale non sa unire all' energia e alla robu-
stezza del maestro la conoscenza del nudo e la correttezza proprie dello stesso maestro.
Fpperò meno castigate nei contorni, ma forti ed espressive riescono le figure condotte
dal Forlivese.

volto ad imitare il vero, che in esse foggiò l'arma-
ture e gli abiti secondo i costumi de' tempi suoi,
mentre nell' altre al lato opposto aveva con molto
scrupolo riprodotti gli abbigliamenti di Roma antica.

" Le quattro storie superiori a queste di San Cri-
stoforo e tratte anch'esse dalla vita dello stesso santo,
sono opere mediocri di Ansuino da Forlì e di un

Buono, si ignora se ferrarese o bolognese, squar-
cioneschi entrambi, ma di povero ingegno. „

1 Si vede sopra la porta a destra. Andrea del Ca-
stagno lo dipinse nel 145t>, per il prezzo di 25 fiorini
d'oro. Distaccato dal muro nel 1841. e posto sulla
tela, fu collocato nello stesso anno sopra quella
porta interna del tempio.
 
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