MARCO PALMEZZANO E LE SUE OPERE
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segnammo al periodo nel quale maestro e discepolo lavorarono insieme (1486-94) che la
maniera deriva certamente da quella facile e larga del maestro, ma nessun' altra prova
d'altronde abbiamo per ciò convalidare.1 Simili a questa bellissima si hanno alcune repliche.
La prima, secondo il Milanesi, trovasi a Manchester, presso il signor Richols, col nome
del Palmezzano e la data M°CCCCCXXXIIII. Un'altra trovasi qui nella quadreria Albicini,
povera di colore, ma senza alcun restauro, e con la data del 1536. Una terza fu venduta
dal notaio. Nannerini a Bologna nel 1837; la quale tornò poi nelle mani del forlivese conte
Savorelli e da questi finalmente mandata all'estero. Che sia quella di Manchester? In tal
modo due soltanto sarebbero le repliche dell' importante tavola posseduta dalla famiglia
Croppi.
Il Milanesi scrive che nella quadreria del fu Carlo Del Chiaro, venduta poi in più
tempi, era nel maggio del 1852 una tavoletta con Gesù che porta la croce in ispatta, con tre
altre figure. Nel fusto della croce era il nome del pittore e questa data M°CCCCCXXXIIII.
Non ci è noto ove si trovi presentemente. Dell'anno dopo è la preziosa tavola, sullo stesso
argomento, che ammiriamo nella pinacoteca forlivese (n. 116). Quasi ottantenne, il Palmez-
zano vi dipinge con una bravura, una franchezza mirabili; prova evidente che anche in
arte le opere meglio pensate, e, talvolta, più vigorose, sono quelle di chi all' amore e
all'alto concetto dell'arte stessa sa unire la sicurezza e l'esperienza dell'uomo provetto.
Quanta semplicità di composizione, quanta grazia, quanta espressione! Sono quattro
mezze figure, grandi poco meno del vero : Gesù, coronato di spine, ha sulla spalla destra
la croce. Un manigoldo tira la fune che gli ha legata al collo, mentre, dietro, è un vecchio
a mani giunte che pare supplichi il divin maestro di cedergli il grave peso. Di fianco a
costui è una quarta figura di fronte, un vecchio con barba rasa che guarda la bella e
generosa immagine del Cristo. Nel fondo, il cielo azzurro, degradantesi in luce chiara ; il
paese è nascosto quasi completamente dai quattro personaggi. Sulla croce è dipinto il solito
cartellino, lacerato, col nome del Palmezzano e l'anno M°CCCCCXXXV.
In questo bel lavoro (tav. XVIII) è l'anima dell'artista devoto. Nella maniera di colo-
rire c' è qualche cosa della forte scuola veneta, e, quanto al disegno, principalmente nei
tipi de' due vecchi, ci si domanda se il forlivese non abbia avuto qualche contatto con
•artisti di scuola tedesca. Ad ogni modo è notevole la differenza che corre tra questo di-
pinto e alcuni altri dello stesso maestro, anche eseguiti negli ultimi suoi anni. Ciò prova
una volta di più l'errore di quei critici i quali vorrebbero proclamare nelle opere del for-
livese, eseguite dopo la morte del maestro, una decadenza sempre più sensibile. Lo dicemmo
ancora; decadenza sì, ma non continua, se ci è dato d'incontrarci così di frequente in
opere veramente belle. Ma tornando all' interessantissima pittura proveniente dalla chiesa
della Missione in Forlì, vi notiamo anche la verità e la trasparenza delle carni, qualità
piuttosto rara nel nostro artista, la bellezza delle teste ben disegnate, ben lumeggiate e
molto espressive. Davvero che per (un vecchio di ottantanni, anche a volere essere incon-
tentabili e noiosi, c'è da appagare l'occhio e lo spirito. Per noi, considerata l'età del vec-
chio Palmezzano, quest' opera non solo è tra le più notevoli pitture sue, ma tra le più
eccellenti cose prodotte in quel tempo (1535) dall'arte in Romagna; essa basta anche da
sola a rispondere ben alto a chi lasciò scritto tanto leggermente, e quasi con disprezzo,
che Marco Palmezzano è artista mediocrissimo, vuoto, o dalle teste di legno.
Dal numero straordinario di repliche, di detto lavoro, devesi argomentare come anche
a' suoi giorni molto piacesse questa gita di Gesù al Calvario, per la nobiltà del soggetto
e per la valentia del maestro. Una assai bella senza data è nella galleria di Faenza, attri-
buita sino a pochi anni addietro al Giambellino, e sotto quel nome riprodotta in una inci-
sione; un'altra, come si disse, vedevasi a Firenze nella collezione di Del Chiaro, del 15:5 1.
1 Non è molto potemmo assicurarci, dalla voce
di chi ne fu testimonio oculare, come il cartellino
glielo dipingesse il noto rimaneggiatore Reggiani,
circa 40 anni addietro.
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segnammo al periodo nel quale maestro e discepolo lavorarono insieme (1486-94) che la
maniera deriva certamente da quella facile e larga del maestro, ma nessun' altra prova
d'altronde abbiamo per ciò convalidare.1 Simili a questa bellissima si hanno alcune repliche.
La prima, secondo il Milanesi, trovasi a Manchester, presso il signor Richols, col nome
del Palmezzano e la data M°CCCCCXXXIIII. Un'altra trovasi qui nella quadreria Albicini,
povera di colore, ma senza alcun restauro, e con la data del 1536. Una terza fu venduta
dal notaio. Nannerini a Bologna nel 1837; la quale tornò poi nelle mani del forlivese conte
Savorelli e da questi finalmente mandata all'estero. Che sia quella di Manchester? In tal
modo due soltanto sarebbero le repliche dell' importante tavola posseduta dalla famiglia
Croppi.
Il Milanesi scrive che nella quadreria del fu Carlo Del Chiaro, venduta poi in più
tempi, era nel maggio del 1852 una tavoletta con Gesù che porta la croce in ispatta, con tre
altre figure. Nel fusto della croce era il nome del pittore e questa data M°CCCCCXXXIIII.
Non ci è noto ove si trovi presentemente. Dell'anno dopo è la preziosa tavola, sullo stesso
argomento, che ammiriamo nella pinacoteca forlivese (n. 116). Quasi ottantenne, il Palmez-
zano vi dipinge con una bravura, una franchezza mirabili; prova evidente che anche in
arte le opere meglio pensate, e, talvolta, più vigorose, sono quelle di chi all' amore e
all'alto concetto dell'arte stessa sa unire la sicurezza e l'esperienza dell'uomo provetto.
Quanta semplicità di composizione, quanta grazia, quanta espressione! Sono quattro
mezze figure, grandi poco meno del vero : Gesù, coronato di spine, ha sulla spalla destra
la croce. Un manigoldo tira la fune che gli ha legata al collo, mentre, dietro, è un vecchio
a mani giunte che pare supplichi il divin maestro di cedergli il grave peso. Di fianco a
costui è una quarta figura di fronte, un vecchio con barba rasa che guarda la bella e
generosa immagine del Cristo. Nel fondo, il cielo azzurro, degradantesi in luce chiara ; il
paese è nascosto quasi completamente dai quattro personaggi. Sulla croce è dipinto il solito
cartellino, lacerato, col nome del Palmezzano e l'anno M°CCCCCXXXV.
In questo bel lavoro (tav. XVIII) è l'anima dell'artista devoto. Nella maniera di colo-
rire c' è qualche cosa della forte scuola veneta, e, quanto al disegno, principalmente nei
tipi de' due vecchi, ci si domanda se il forlivese non abbia avuto qualche contatto con
•artisti di scuola tedesca. Ad ogni modo è notevole la differenza che corre tra questo di-
pinto e alcuni altri dello stesso maestro, anche eseguiti negli ultimi suoi anni. Ciò prova
una volta di più l'errore di quei critici i quali vorrebbero proclamare nelle opere del for-
livese, eseguite dopo la morte del maestro, una decadenza sempre più sensibile. Lo dicemmo
ancora; decadenza sì, ma non continua, se ci è dato d'incontrarci così di frequente in
opere veramente belle. Ma tornando all' interessantissima pittura proveniente dalla chiesa
della Missione in Forlì, vi notiamo anche la verità e la trasparenza delle carni, qualità
piuttosto rara nel nostro artista, la bellezza delle teste ben disegnate, ben lumeggiate e
molto espressive. Davvero che per (un vecchio di ottantanni, anche a volere essere incon-
tentabili e noiosi, c'è da appagare l'occhio e lo spirito. Per noi, considerata l'età del vec-
chio Palmezzano, quest' opera non solo è tra le più notevoli pitture sue, ma tra le più
eccellenti cose prodotte in quel tempo (1535) dall'arte in Romagna; essa basta anche da
sola a rispondere ben alto a chi lasciò scritto tanto leggermente, e quasi con disprezzo,
che Marco Palmezzano è artista mediocrissimo, vuoto, o dalle teste di legno.
Dal numero straordinario di repliche, di detto lavoro, devesi argomentare come anche
a' suoi giorni molto piacesse questa gita di Gesù al Calvario, per la nobiltà del soggetto
e per la valentia del maestro. Una assai bella senza data è nella galleria di Faenza, attri-
buita sino a pochi anni addietro al Giambellino, e sotto quel nome riprodotta in una inci-
sione; un'altra, come si disse, vedevasi a Firenze nella collezione di Del Chiaro, del 15:5 1.
1 Non è molto potemmo assicurarci, dalla voce
di chi ne fu testimonio oculare, come il cartellino
glielo dipingesse il noto rimaneggiatore Reggiani,
circa 40 anni addietro.