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Archivio storico dell'arte — 2.Ser. 1.1895

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Fasc. I-II
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Baudi di Vesme, Alessandro: Giovan Francesco Caroto alla corte di Monferrato
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https://doi.org/10.11588/diglit.19207#0043
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ALESSANDRO VESME

Il Vasari seguita dicendo che « dopo aver servito il Visconte, essendo Giovan Fran-
cesco chiamato da Guglielmo, marchese di Monferrato, andò volentieri a servirlo, essendo
di ciò molto pregato dal Visconte». S'ignora come e con qua! titolo il signor Anton Maria
abbia servito d'intermediario fra 1' artista di cui aveva messo alla prova il valore, ed il
marchese Guglielmo; ma si ha conoscenza di relazioni che parecchi membri della nume-
rosa stirpe dei Visconti avevano in quel tempo col Monferrato. Così i Visconti di Lazzarone
erano feudatari del marchese Guglielmo ed avevano cariche alla sua Corte ; Ermes Visconti
sposò la casalese Bianca Maria Gaspardona, o Scapardona, che tanto fece poi parlare di se
sotto il nome di contessa di Challant; inoltre s'è detto che la madre d'Anton Maria era
una Confalonieri, ed i Confalonieri di Candia erano anch' essi vassalli del marchese di
Monferrato.

Quantunque il Vasari ne taccia, forse contribuì a decidere il Caroto a mettersi ai ser-
vigi del marchese 1' esempio d' un altro artista, Matteo Sanmicheli. Questo esimio scultore
ed architetto — il quale, quantunque non fosse veronese, come ancora universalmente si
crede, aveva tuttavia attinenze con Verona, per esser cugino del celebre architetto veronese
Michele Sanmicheli (Vasari, VI, 345) — lavorò in Monferrato tra gli anni 1510 e 1526,
secondo quanto trovai in documenti dell'Archivio civico di Casale.

Il marchese Guglielmo, nato nel 1486 e diventato sovrano all'età di sette anni, fu prin-
cipe guerriero, come tutti quelli della sua schiatta, Nei torbidi che sconvolsero l'Italia du-
rante quel periodo così tremendamente fortunoso, egli seguì la parte francese con fedeltà
degna di miglior premio eh' ei non ebbe, essendo stato il suo Stato, — per natura difficile
a difendersi, perchè aperto da ogni parte e non protetto a ridosso dall'Alpi, come il Pie-
monte e il Saluzzese, — assai più crudelmente vessato dagli amici che dai nemici. Però
nel 1514 la tranquillità non fu turbata che da una guerricciuola che Guglielmo, stanco
delle secolari controversie di giurisdizione feudale, portò al marchesato d'Incisa, che ag-
gregò al Monferrato. Ed è in tale anno che io, sebbene per lievi indizi, penso abbia avuto
luogo 1' arrivo del Caroto in Casale. Neil' anno seguente essendo sceso in Italia Francesco I
re di Francia per ricuperare la Lombardia, ricominciò lo strazio del misero Monferrato.

Al Caroto, appena giunto, « fu assegnata bonissima provisione; ed egli messo mano
a lavorare, fece in Casale a quel signore, in una cappella dove egli udiva messa, tanti
quadri, quanti bisognarono a empierla ed adornarla da tutte le bande, di storie del Testa-
mento vecchio e nuovo, lavorate con estiema diligenza, sì come anco fu la tavola princi-
pale. Lavorò poi per le camere di quel castello molte cose, che gli acquistarono grandissima
fama; e dipinse in San Domenico, per ordine di detto marchese, tutta la cappella maggiore,
per ornamento d'una sepoltura, dove dovea essere posto ».

Queste notizie che ci dà il Vasari meritano di essere studiate paratamente ed illu-
strate con qualche chiosa.

Comincierò dalle pitture che il Caroto eseguì nella cappella dove il marchese Guglielmo
soleva udir messa. Com' eran esse? Per me non v'ha dubbio che la parola « quadri» qui
adoperata dal Vasari dev' essere intesa, non nel senso di dipinti mobili su tavola o su tela,
ma nel senso di composizioni rettangolari colorite a fresco sulle pareti. Altrimenti non si
spiegherebbe per qual ragione il Caroto, contravvenendo all'usanza universalmente accettata,
avrebbe rinunciato ad ornar la cappella a fresco, per servirsi di altri metodi di pittura
più lenti, più faticosi e meno adatti al locale. Ma il Vasari, dopo aver fatto parola dei
«quadri», nomina a parte «la tavola principale » ; e questa, ch'io reputo fosse l'ancona
dell' altare, sarà stata benissimo dipinta ad olio.

Qual'era quella cappella? V'ha chi crede che fosse l'or distrutta cappella di San Gio-
vanni Battista, nella- chiesa di San Domenico, nella quale infatti già i marchesi Guglielmo
e Bonifazio, zio 1' uno e padre 1' altro del nostro marchese Guglielmo, « venivano ad ascol-
tare la santa messa », come attesta il padre Guglielmo Cavalli nella sua Descrizione della
origine e fondazione del convento di San Domenico in Casale Monferrato, sinora inedita. Io
 
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