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Archivio storico dell'arte — 2.Ser. 1.1895

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Fasc. III
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Supino, Igino Benvenuto: Tino di Camaino
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https://doi.org/10.11588/diglit.19207#0193

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.184

v'ha dubbio quindi, che ben diversa e più ricca era ]a generale configurazione della tomba
di Arrigo, e più. degna insieme del Cesare cui i Pisani serbarono tanto devota riconoscenza.
Ma avanti di definire come pare a noi dovesse essere il monumento, vediamo quelli di Firenze
e di Napoli scolpiti dal medesimo artista.

IY.

Così quello che nella chiesa di Santa Maria Novella racchiude le ossa del vescovo
Tedice Aliotti di Fiesole, come l'altro che nel Duomo di Firenze serba i resti del vescovo
Orso, sono sorretti da mensole su cui poggiano gli archetti a sostegno della cassa istoriata,
che tre leoni accosciati reggono sulla schiena; perciò questi due monumenti, per la loro
costruzione e per il modo col quale sono sostenuti, non" possono da noi esser presi a modello.

Invece a Napoli, nella chiesa di Domna Regina Tino di Camaino lavorò la tomba della
regina d'Ungheria, e fanno al sarcofago da cariatidi quattro angeli, dalle ali spiegate, uno dei
quali, il primo a destra, tiene con la mano la zampa di un leone, nell'identico atteggiamento
che ha la figura allegorica rappresentante la Forza nel gruppo delle quattro Yirtù sino ad
oggi voluto parte del pulpito di Giovanni.

Nel monumento sepolcrale al duca di Calabria, nella chiesa di Santa Chiara, il sarco-
fago e sorretto ai lati estremi da due colonne figurate; nell'altro, infine, esistente nella
stessa chiesa, e che si suppone racchiuda le ossa di Maria di Yalois, due figure di donna, che
poggiano su due leoni accosciati, hanno sulle spalle due capitelli, dai quali è sorretto il sar-
cofago.

Ci pare dunque che non sia del tutto fuor di luogo il supporre ch'egli, come del resto
era facile negli artisti di quell'età, ripetesse con leggiere varianti il solito motivo, e che i
monumenti di Napoli non siano, nel concetto fondamentale, che una ripetizione di quello
di Pisa. Ammessa quindi questa identità di configurazione, ci resterà più facile dimostrare
l'attendibilità della nostra idea primitiva, poiché appunto a sostegno del sarcofago imperiale
noi affermiamo dovessero servire i due gruppi delle Yirtù e degli Evangelisti con le statue
di Pisa e del Cristo, falsamente attribuiti al pulpito di Giovanni Pisano, mentre anche pei
caratteri tecnici sono riferibili a Tino.

Perciò nel dare uno schizzo della ricostruzione del monumento all'imperatore Arrigo VII,
quale ci pare aver dimostrato dovesse essere in origine, ne tenteremo insieme la descrizione
a maggior conferma delle nostre conclusioni.

La cassa contenente le ossa di Arrigo, ornata con le rappresentazioni figurate dei dodici
apostoli, era sostenuta da due statue: una rappresentante Pisa, che ebbe daini non dubbi
contrassegni d'affetto, e che a lui fu sempre divotamente fedele; l'altra il Cristo, qui posto
o a simbolo della potestà divina, o a illustrazione del motto: Imperator Enricus qui Cristo
fertur amicus. La quale statua era sorretta dal gruppo dei quattro Evangelisti, e l'altra dalle
quattro Yirtù, Forza, Prudenza, Temperanza e Giustizia, con le quali si era sempre gover-
nata la Città. L'aquila che le parla all'orecchio sta a dinotare che l'imperatore le dava
consiglio o seco si consigliava, e l'altra che le sta sopra ad ali aperte, come Pisa era tutrice
e difenditrice del grande impero romano. Sulla cassa è disteso Arrigo, tutto avvolto in un
manto ad aquile romane, e ai lati due angeli alzano le cortine del baldacchino per mostrare
la figura del Cesare, cui stan dietro diritte in piedi altre due figure (quelle precisamente
che si trovano sul monumento del cardinal Ricci) come si vedono a Firenze nel sepolcro
del vescovo Tedice Aliotti, a Napoli in quello supposto di Maria di Yalois. Sopra al baldac-
chino poggia la Yergine col Figlio, la quale pare a noi di identificare in quel frammento
di scultura segnato in Camposanto col n. 43, posto dinanzi al monumento de' Gherardesca,
e che per la tecnica esecuzione ricorda in modo evidente la maniera riscontrata nelle altre
 
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