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Archivio storico dell'arte — 2.Ser. 1.1895

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Fasc. III
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Sgulmero, Pietro: La firma-preghiera di Maestro Guglielmo nelle sue sculture Veronesi (1139)
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https://doi.org/10.11588/diglit.19207#0198

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Il Venturi non curò certo, in questo caso, la lettura. Si fidò del suo disegnatore
Agostino Bisesti, il quale se la cavò accomodando in fac-simile quello che aveva scritto il
Da Persico.

Tra gli anni 1831-1834 Diego Zannandreis scrisse le Vite dei pittori, scultori ed archi-
tetti veronesi. In quest'opera egli dedica un capitolo anche a Guglielmo scultore, e, molto
avvedutamente, cita soltanto il secondo verso della firma guglielmina. 1

Nel 1839, Giovanni Orti-Manara uscì con una nuova lezione, pure in fac-simile, e da lui
stesso così sciolta nel testo:

Qui LEGIS NATum Per LATA ToMARIIE SALVET

In ETerNum Qui SCVLPseRIT ISta GYILLELNEM.

Dopo aver confermato con un sic le parole Tomariie e Guillelnem, l'Orti fa seguire
alla sua lezione la nota: « I bassi rilievi della facciata furono pubblicati, con incisione,
dall'abate Venturi, che diede anche le iscrizioni, ma non del tutto esatte ». 2

Ma l'Orti, che credeva di dare lui, per il primo, una lezione esatta, pare, invece, che
non siasi nemmeno accorto dei versi. Certo egli li divise male. Certo egli non avvertì l'im-
possibilità di Guillelnem, che doveva accordarsi ritmicamente con aeternum. Così la sua lezione
riuscì la peggiore di tutte.

Pur troppo i fac-simili delle molte pubblicazioni dell'Orti non hanno, bene esaminati,
un grande valore. Non sono dessi l'opera dell'autore, ma il lavoro d'artisti, i quali non si
curavano di ritrarre i monumenti con i calchi e da questi scalarmente ridurli, ma li dise-
gnavano a mano. Disegnatori abilissimi, ma paleografi inesperti, copiavano alla men peggio,
anche là dove non arrivavano ad intendere.

Si aggiunga, che se il disegnatore era fedele, fedele non era il litografo. Cito in nota
un esempio. 3 Si aggiunga, che se il disegnatore e il litografo erano fedeli, fedele non era
l'autore, il quale, invece d'illustrare le sue tavole, interrogando e studiando il monumento,
andava a prendere la spiegazione dei fac-simili, che gli erano stati preparati, da opere ante-
riori, senza badare se questa corrispondesse o meno alle cose rappresentate. Cito in nota
un altro esempio.4

1 Zannandreis Diego, Le vite dei pittori, scultori e
architetti veronesi, pubblicate e corredate di prefazione
e di due indici da Giuseppe Biadego. Verona, 1891,
pag. 14.

2 Orti-Manara Giov., Antica basilica di San Zenone
Maggiore in Verona. Verona, 1839, pag. 8-48 (26), e
tav. II, n. 1.

3 La Biblioteca Comunale di Verona conserva nel
suo manoscritto 995 due copie del disegno a colori, che
il pittore Carlo Ferrari fece, per conto dell'Orti-Manara,
dell'affresco di Sirmione con la data dell'anno 1322.
Sopra la testa dei Santi, dipinti sotto al Redentore, si
leggono, in caratteri del tempo, i rispettivi nomi: S. AN-
TONIVS . S. MARCVS . S. IACOB . S. PHILIPVS . PE-
TRVS . IACOBVS . S. SIMEON . S. TADAEYS . S. MA-
TIAS.PAVLVS. Ebbene nella stampa (Orti, La Peni-
sola di Sirmione. Verona, 1856, tav. VI), la data del
tresco è recata più vecchia di un anno, e le leggende
dei Santi sono tutte o contraffatte od ommesse. L'autore,
senza aver visto il disegno del Ferrari, dà a pag. 101
del testo questa bella spiegazione cavata dalla lettura
della orribile tavola litografica: Soltanto sul capo di
sette Apostoli sta scritto il nome, cioè a destra S. MAT-

Archivio storico dell'Arte, Sirie 2*, Anno I, fase. Ili

TEVS. S. IACOB . S. PHILIP, ed a sinistra S. SIMO
S. TAD.S. MVS (Marcus) S. PAVLV.

Dalla precisione paleografica iinagini il lettore la
precisione della figurazione. S. Paolo nel disegno Ferrari
è rappresentato due volte, sempre in costume di apostolo.
Ebbene, nella tavola litografica la tunica di San Paolo
è trasformata, nella prima rappresentazione, in un vero
sacco francescano, e, nella seconda rappresentazione,
tutta la persona è ricoperta, oltre che dalla tunica,
anche da un ricco manto.

4 I dodici simboli dei dodici mesi dell'anno scolpiti
alle basi dell'arco del protiro di San Zeno in Verona,
recano ciascheduno la propria leggenda. Il primo, un
uomo coi capelli irti che suona la doppia tibia, porta,
tanto nel marmo quanto nella tavola (Orti, Antica
Basilica di San Zeno, tav. Ili), il nome di Marzo. Il
secondo, un uomo con un fiore per ogni mano, porta il nome
di Aprile. Il terzo, un cavaliere armato di scudo, porta
il nome di Maggio. Sentiamo come l'Orti-Manara (a pa-
gina 7) siasi accontentato di spiegare le rappresentazioni
dei tre primi mesi dell'anno antico : Nelle quattro fasce
dei pilastri dello sporto sono rappresentati i dodici mesi
dell'anno... col nome latino al di sotto. Il Da Persico

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