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Archivio storico dell'arte — 2.1889

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Fasc. III-IV
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Mariani, Lucio: Espozione di ceramica in Roma
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https://doi.org/10.11588/diglit.17348#0209

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ESPOSIZIONE DI CERAMICA IN ROMA

177

Passando ora alla parte moderna, parleremo prima
di quelli che imitano l'antico, tra i quali primeggiano,
a nostro avviso, Torquato Castellani, Camillo Novelli e
Pio Fabri. I due primi, entrati nel vero spirito della
imitazione antica, immedesimatisi quasi nello stile, pro-
ducono piatti e tavolette originali che quasi si scam-
bierebbero colle antiche, mostrandosi nel tempo stesso
valenti artisti e scrupolosi imitatori. Il Novelli si mostra
specialmente efficace nella intonazione robusta ed armo-
niosa de' grandi modelli antichi ; e di ciò ognuno potrebbe
meglio persuadersi vedendo le sue opere esposte, se
queste fossero collocate in luogo migliore, in cui la
luce facesse brillare i bellissimi lustri metallici, cosi
saviamente disposti ad ornare le sue maioliche. Il Fabri,
accurato nella esecuzione, tradisce però l'intonazione
colla troppa gaiezza de' suoi colori. « 11 grande segreto
de' coloristi, dice Charles Blanc nella sua Grammaire
des Arts decoratifs, non è quello di produrre l'armonia
per mezzo di tinte pallide, ma di conservarla anche con
colori vivaci, e gli orientali sanno a perfezione risolvere
questo problema ne' loro tappeti e nello loro ceramiche:
sanno fare uno spettacolo dolce con toni fieri. » E al
Fabri che predilige l'imitazione degli orientali, racco-
mandiamo di tener presenti queste parole. Bisogna però
convenire che l'effetto dell'intonazione dipende molto dai
varii sistemi di cottura, dalla natura delle terre, dei
colori e degli smalti. Per quanto uno si sforzi, col si-
stema in uso qui in Roma di pittura sotto vernice, non
si possono riprodurre gli effetti, talvolta dozzinali, degli
oggetti antichi dipinti sópra crudo. L'imitazione poi
delle cose orientali è ancor più difficile per la natura
diversa delle terre e delle vernici: se in gran parte i
lustri metallici si sono riprodotti, come ne fanno fede,
per esempio, i lustri delle fabbriche Ginori e Gantagalli,
non si possono però imitare, col nostro sistema, l'into-
nazione fredda dei bleu e dei verdi, la vivacità del rosso
corallino, a causa della diversa preparazione delle terre
e degli smalti.

Vi sono alcune riproduzioni de' piatti di mastro
Giorgio, ma sono ben lungi dell'eguagliare i modelli
antichi. Anni fa, furono dal comm. Fabri ritrovate le
iridazioni ed il celebre lustro rubino dell'antico maestro
ed è peccato che lo Spinaci, il quale li aveva molto ben
applicati, non abbia esposto alcuno de' suoi saggi.

Qui pure giova rammentare, benché non ve ne sia
esposto alcun esemplare, le maioliche faentino che il
Farina aveva impreso ad imitare cosi perfettamente,
perseverando in un lavoro che non fu a lui mai rimu-
neratore delle fatiche e del pregio.

Sono curiose più che belle le imitazioni dei rozzi
vasi e piatti medioevali de' fratelli Chiotti di Torino.

In questa categoria, piuttosto che in quella do' com-
mercianti, va posta la fabbrica del Cantagalli di Firenze,
la quale ci offre de' bellissimi saggi di riproduzioni d'og-
getti antichi artistici di vario stile. Il risultato eccellente,
sia dal punto di vista artistico che dal lato della tecnica,
dipende in gran parte dal modo come è distribuito in

Archivio Storico dell'Arte. - Anno II, Fase. III-IV.

questa fabbrica il personale de' lavoranti, ordinato e di-
retto l'importante stabilimento, in cui ogni operaio, fin
dal primo giorno è educato ed ispirato dai begli esem-
plari ivi raccolti, in cui la mano dell'artista agisce colla,
medesima tecnica degli antichi, solo mezzo per ottenere
un effetto di buon gusto e nello stesso tempo una fedele
riproduzione dell'antico.

Nella fabbrica del Cantagalli sono stati introdotti i
potenti mezzi meccanici moderni che rendono la pro-
duzione più facile ed anche più economica, il che, se
non è un vantaggio per l'arte, facilita però lo spandersi
del buon gusto negli oggetti commerciali.

Usciamo ora dal campo della imitazione. Tra gli
originali vi è una caterva di produttori di quel genere
che fu in voga negli scorsi anni e che, divenuto una
mania, affidato a mani inesperte e pretenziose, finì col
rendere antipatica la ceramica. E impossibile non pro-
vare disgusto a vedere tali oggetti raggruppati, anche
se fatti con talento, dopo aver abituato l'occhio alle
belle ed artistiche produzioni degli scorsi secoli o di
alcuno de' buoni imitatori moderni. Però ve n'ha alcuno,,
come accennavamo sopra, che ha veramente portato la
ceramica in un campo più elevato, rendendola cioè non
scopo, ma mezzo dell'arte, e sollevandola dal campo in-
dustriale. Di molti che hanno tentato una cosa simile,
nessuno, a nostro avviso, è riuscito come il cav. Filippo
Simonetti, distinto paesista, il quale riponeva tutto il
suo ideale dell'arte nel concetto che abbiamo espresso,
tanto da potersi dire che i suoi lavori, portando nota
nuova nella ceramica, le avevano indubitatamente fatto
fare un passo in avanti. Basta osservare le poche tavolette
esposte per persuadersene al solo mirarle, e riconoscere
la grandezza dell'artista nella modestia delle sue opere.

Il suo merito è poi accresciuto dalla considerazione
che, se egli avesse potuto dipingere sopra crudo in luogo
che sotto vernice, avrebbe senza dubbio ottenuto più
vigore e più morbidezza di colorito, insomma un effetto
maggiore dell'ottenuto, che peraltro resta sempre quanto
di più bello in ceramica si sia fatto ai nostri giorni. Ma
come la falce non rispetta lo alte spighe, cosi la morte
ha voluto troncare questa preziosa esistenza proprio alla
vigilia di aver l'animo soddisfatto per lo sue fatiche, e
mentre gli amici piangono la perdita d'un animo eletto
e gentile, l'arte ceramica piange la scomparsa d'uno de'
suoi più validi campioni.

Presso all'amico, ha nella stessa vetrina esposto al-
cuni saggi il signor Pacelli, tra cui un piattino con una
testa muliebre che, a nostro avviso, è una vera finezza
dell'arte ceramica, qualità che mentre costituisce un
pregio rarissimo, riesce d'altra parte a danno dell'o-
pera stossa, la quale per ciò non sembra più dipinta a
gran fuoco, ma alla muffola.

Il genere di ritratti a lapis o pastelli e a chiaroscuro
che pure è stato in voga pe' monumenti sepolcrali,
non è molto ben rappresentato e non c'è da rammari-
carsene, poiché esso risulta freddo e monotono, nè si.
fa ammirare per alcuna difficoltà tecnica superata.

il

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