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Archivio storico dell'arte — 2.1889

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Fasc. VII
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Carotti, Giulio: Vicende del duomo di Milano e della sua facciata, [2]
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https://doi.org/10.11588/diglit.17348#0320

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GIULIO CAROTTI

della solidità e connessura della fronte), si interrompevano come corpo monco, senza armonizzare
punto col rimanente della costruzione.

Le aperture delle porte e delle finestre erano per lo più larghe e grandiose, e nella navata
centrale specialmente pioveva abbondante luce per i grandi rosoni di molteplici vani della facciata.

La decorazione all'incontro era, in proporzione, tutta di lusso, di vera ricchezza. Degli archetti
graziosi or semplici or trilobati, dei fregi geometrici od a fogliame correvano sotto la linea
terminale e si rannodavano ai fianchi. Le porte e le finestre venivano amorosamente cinte e ri-
cinte di varii corsi di scultura. Delle fascie di decorazioni per lo più a fogliami ed animali, e tal-
volta a figure di santi od a figure grottesche e mostruose, correvano sulle porte, su un campo e l'altro,
sugli stessi contrafforti; e coteste fascie erano numerose e non sempre simmetriche. I comignoli che
si ergevano sulla linea terminale in corrispondenza ai pilastri o contrafforti della fronte (od anche
in corrispondenza al luogo ove avrebbero dovuto trovarsi i contrafforti) erano di cotto; dapprima
eran semplici cilindri con pinacolo; poi attorno al labbro inferiore del pinacolo corsero degli
archetti; poi delle nervature frastagliarono il cilindro ed infine l'intero comignolo si slanciò svelto,
alto e bello, sempre di cotto, tutto ripartito ed ornato sino alla cima ; e da questo alla guglia
bassa o pinacolo che ci dà il disegno del De Vincenti (v. fig. 4 della parte I*) non è più che questione
della scelta del materiale e della relativa lavorazione.

Ora, come fu già avvertito, non pare che fosse stato fatto il disegno per la facciata del duomo ;
né con quel sistema lombardo di facciate un disegno sarebbe stato in allora indispensabile. Ma la
costruzione andò a rilento e si venne decorativamente assai mutando: cosicché quando giunse il
secolo xvi ed alla fronte i deputati pensarono davvero, l'idea primitiva del concetto lombardo nella
sua integrità non sarebbe più stata adatta pel duomo; del resto i costruttori non avevano più alcun
concetto e neppure, come pel rimanente del tempio, potevan servire loro di modello le parti antiche; e
le stesse innovazioni decorative introdottesi man mano appartenevano anche quelle ad un'età di già
lontana. Sempre la stessa storia: il duomo era un libro che nessuno sapeva leggere più. Era venuto il se-
colo xvi e con esso il gusto per lo stilo che chiamavano classico, stile che anche se fosse stato
seguito per la facciala del duomo da un Leon Battista Alberti o da un Michelangelo, sarebbe valso
bensì a foggiare una bella fronte, ma non la fronte che ci voleva pei' il duomo di Milano.

Alla facciata i deputati incominciaron a rivolgere la mente soltanto nel 1534, quando finalmente
la costruzione era abbastanza progredita, tanto da presentare l'opportunità della erezione dell'ul-
tima parte anteriore. Ma tutto si risolse nell'impartire l'ordine che « tutti i proventi degli affitti degli
spazi della platea della chiesa, ed altri si debban spendere nelle riparazioni e spese per la facciata e
che a questa si proceda al più presto ». E così fu pure nel 1535. Nel 1537 Vincenzo Seregno fece
varie proposte tra le quali si riservava di far vedere ai deputati come avessero a farsi i campa-
nili grandi che avrebber fatto « accompagnamento e bellissimo ordine alla fasada grande ». Ma di
disegni, di progetti di facciata non si parla, né se ne trova traccia nei documenti del 1575, quando
si provvedeva già per i gradini della scalinata « ante faciem majoris ecclesiae ». Anzi nel 1582
risolvono di trasportare sulla linea della fronte, dove sorgerà la facciata, la porta costrutta con
molta decorazione alla testa della crociera verso settentrione, crociera che era stato deciso di chiu-
dere; nella quale occasione pare ancora che non siansi menomamente preoccupati del progetto architet-
tonico della futura facciata. E in questa guisa passò tutto il tempo (dal 1567 al 1585) in cui il
Pellegrino Tibaldi d- Pellegrini rimase architetto della fabbrica senza che nessun' ordinazione e
discussione di disegni avvenisse da parte dei deputati. Il Pellegrini però, per conto proprio e forse
per consiglio del suo protettore, l'arcivescovo Carlo Borromeo, aveva studiato ed eseguito due pro-
getti di facciata, che per allora é probabile sian rimasii ignorati.

Per la prima volta finalmente gli annali accennano alla intenzione dello studio e della scelta
di disegni per la facciata, nel 1500, quando i deputati, sentite le varie proposte dei lavori dell'ar-
chitetto Martino Bassi, conchiusero « melius esse si dictam faciem conficeret......» ed ordinarono al
 
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