Universitätsbibliothek HeidelbergUniversitätsbibliothek Heidelberg
Metadaten

Archivio storico dell'arte — 2.1889

DOI Heft:
Fasc. XI-XII
DOI Artikel:
Venturi, Adolfo: La galleria del Campidoglio
DOI Seite / Zitierlink: 
https://doi.org/10.11588/diglit.17348#0498

DWork-Logo
Überblick
loading ...
Faksimile
0.5
1 cm
facsimile
Vollansicht
OCR-Volltext
LA GALLERIA DEL CAMPIDOGLIO

451

Le altro scuole italiane sono men che magramente rappresentate nella collezione. Di lombardo
vi è una Madonna col bambino (senza numero), che con la destra le siringe il pollice e con
la sinistra ricerca la poppa nel seno della madre, la quale si china in atto di materno amore
sulla testa del parvolo. È una soave rappresentazione, che ricorda la scuola di Gaudenzio Ferrari;
ina per l'altezza in cui trovasi il quadro e per la cattiva luce in cui è esposto non possiamo giudicare
con sicurezza a quale de' suoi seguaci appartenga il dipinto. Il suo colorito freddo, sbiancato,
a quanto sembra, lascia dubitosi nell'ascriverlo a questo o a quell'autore; ma da Gaudenzio
deriva la delicatezza della trovata pittorica, la tipica forma della testa della Adergine. Di
fiorentino vi è una Madonna col bambino e due angioli adoranti (n. 127), tondo assegnato a
Lorenzo da Credi e che appartiene difatti alla sua ultima maniera (Tav. nel testo, 2). I
due angioli adoranti sono imitati da altri del maestro, quali ad esempio si veggono nell'Accademia
di Belle Arti di Firenze, nell'atto di congiunger le palme e di fissare intensamente gli occhi
con pupille chiare e orbite azzurrine. Anche nel colore rossiccio delle carni si rivela l'arte
di Lorenzo, di cui non ha l'antica robustezza e il rigonlio della modellatura. Il tondo è
ritocco in varie parli nel corpo del Bambino, nel collo della Vergine, nei capelli e nelle
mani degli angioli. Fu già attribuito stranamente al Perugino, ma ciò non deve recar sorpresa,
poi che alla scuola fiorentina del secolo xvi ò ancora assegnato un Ecce-Homo (n. 6), copia del
noto quadro del Correggio, già nel palazzo Colonna a Roma, ora nella Galleria Nazionale di Londra;
e poi che al Botticelli si ascrive una Madonna e santi (n. 52) di un seguace materiale e debole
del Ghirlandaio, opera dozzinale, forse di un frescante fiorentino che visse a Roma, come potrebbe
supporre chi osserva nel fondo raffigurati gli avanzi della basilica di Costantino, il resto della
cella del tempio di Venere, il tempio della Sibilla di Tivoli, e un campanile medioevale simile a
quelli che si trovano a Roma e nei dintorni.

Quel quadro venne comprato dal Gamarlengato nel 1826, e non fu buon acquisto, come noi
fu l'altro fatto due anni prima per ducati 350 ad Ascoli Piceno. Vogliamo accennare al quadro
di Cola della Matrice, già nella sagrestia dei Domenicani di quella città; quadro che può attirare
per certe qualità che il pittore aveva preso a prestito da simili composizioni del tempo, ma assai
povero nella forma. Rappresenta la Morte di Maria (n. 196-199): la Vergine è stesa sul cataletto,
coperta di un manto azzurro sparso di stelle, con le mani conserte al petto. San Pietro chino sur
un libro legge la prece dei defunti; gli altri apostoli e san Tommaso e santa Caterina circon-
dano il feretro. Dietro alle teste del gruppo si alza un muricciolo, e dietro a questo, appaiono
monti di un azzurro intenso che scendono a far conca nel mezzo. Nell'alto, l'Assunzione della
Vergine e Angioli. In questo quadro Cola della Matrice, si manifesta come un maestro rozzo, im-
potente ad aggiungere qualcosa ai motivi già determinati dall'arte nelle rappresentazioni sacre, a
convertire questi in proprii. Ha dei quattrocentisti l'ingenuità, ma ingenuità che cade nel grot-
tesco: quegli angioli, marionette tirate su per l'aria; e quelle figure di stucco, pesanti, ancora
contornate di carbone, del gruppo principale del dipinto (come se dovessero esser dipinte su un
muro) mostrano l'artista d'ordine inferiore, che fa vani sforzi per imitare i pittori umbri, e anche
assai in ritardo al confronto de' contemporanei, se si tien conto che l'opera sua più antica
fu del 1515.

L'umbra scuola non è bene rappresentata dagli affreschi attribuiti allo Spagna rappresentanti
Apollo e le nove Muse (n. 1 a 10). Apollo Musagete è in atto di suonare il violino, e nel fondo della
figura vedesi il Pegaso alato, e di nuovo, più innanzi nel piano, Pegaso che salta sulla Gorgone,
il cui capo alato e anguicrinito sta ai piedi di Perseo. Le Muse sono in parte distinte da un
verso, che ne indica il nome, tratto dagli epigrammi di Ausonio- Urania ha nel lontano la veduta
di Firenze, allusiva alla preminenza di questa città nell'astronomia. Provengono questi affreschi dalla
villa Magliana presso Roma, e sono opere fra le più materiali e vuote del maestro, di un carattere tutto
decorativo, probabilmente dipinte dagli aiuti suoi: le teste sono tutte identiche, tonde, co' pomelli
rossi delle guancie, le carni biancastre, i capelli biondicci. Si ritengono eseguite nel 1511 per la
magnifica villa già abbellita da Innocenzo Vili, ove villeggiò Giulio II e tenne concistoro Leone X.
Chi sa quali motteggi avrà detto questo papa, nel passare innanzi a quelle Muse coi cartellini, a
quell'Apollo aggranchito, se il suo pensiero ricorreva alle Muse di Raffaello delle Stanze Vati-
 
Annotationen