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Archivio storico dell'arte — 2.1889

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Fasc. XI-XII
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Beltrami, Luca: Raffaele Cattaneo e la sua opera "L' architettura in Italia dal secolo VI al mille circa"
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https://doi.org/10.11588/diglit.17348#0518

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RAFFAELE CATTANEO E LA SUA OPERA

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Oltre a quanto si disse, quando si voglia dare alle conclusioni il maggior fondamento possibile,
non bisogna trascurare l'importanza di una scelta avveduta e diligente dei frammenti che si pren-
dono in esame, procurando che fra gli esempi adottati non vi sia — tanto rispetto alla presumibile
loro epoca, quanto rispetto alla regione in cui si trovano o da cui provengono — una soluzione
di continuità, e ciò allo scopo di poter rilevare la graduale evoluzione dell'arte in rapporto anche
con le influenze che si sono manifestate da una regione all'altra. Da questo punto di vista l'opera
del Cattaneo presenta qualche lacuna: alcuni monumenti ragguardevoli per la loro costituzione
frammentaria, come ad esempio la basilica di Pomposa, oppure interessanti per la disposizione
architettonica, come la chiesa di S. Lorenzo in Milano, non sono neppure citati: alcuni centri
notoriamente importanti per la storia dell'arte nel periodo longobardo, come ad esempio Pavia,
ebbero un cenno troppo sommario ed incompleto; insomma il Cattaneo non ha sensibilmente esteso
il campo delle osservazioni oltre quello già esplorato dall'Hubsch, dal Garrucci, dal Rohault de
Fleury, dal Selvatico, dal Dartein : dei quali autori egli rileva sovente gli errori, con un ardore
che in qualche punto va scusato dalla passione per l'arie che nutriva quella giovane ed irrequieta
intelligenza. Non sempre però le rettifiche ch'egli fa sono fondale; così, parlando della chiesa di
S. Saba, esclude categoricamente l'esistenza dei frammenti antichi segnalati dal Selvatico in quel
monumento, mentre i due capitelli compositi di serpentino verde di Laconia a grandi risalti di
foglie, ed altri capitelli di marmo bianco di buona fattura come pure quattro fra le colonne, sono
avanzi che danno in tal caso ragione al Selvatico, il quale del resto va scusato degli errori in
cui cadde pel fatto che non potè disporre di tutto quel ricco materiale e di tutti quei mezzi che
oggidì agevolano gli studii e le ricerche archeologiche. Così per le porte di S. Sabina l'autore —
dopo aver riferito l'opinione dei signori Cavalcasene e Crowe, i quali per i primi giudicarono quel
lavoro anteriore al Mille — le assegna, come se fosse il primo a parlarne, al secolo v, o alla
prima metà del vi secolo, mentre già fin dal 1877 il Kondakoff1 con un lungo studio di confronti,
aveva stabilito in base ai caratteri iconografici e stilistici ch'esse appartengono al v secolo.

Anche nel ravvisare la mano di artisti greci in tutti i lavori di qualche importanza del vii
e vili secolo, il Cattaneo spiega un giudizio troppo sistematico, al punto che quando si imbatte
nel nome di URSUS MAGESTER sul ciborio di S. Giorgio in Valpolicella, egli non esita ad
osservare : « tutte queste sculture portano indubbie impronte dello stile greco, ma non ò greco
il nome del maestro, l'unico nome d'artefice che ci offrono i tanti lavori di questo stile che l'Italia
possiede. E dovremo per ciò rinunciare alla greca paternità.di quel ciborio? Sarebbe un dichia-
rare lavori d'italiani eziandio tutti gli altri : ma lo stile loro e il loro isolamento vi si oppongono
recisamente ». Dopo tale premessa non può recare sorpresa che 1' autore, per sostenere' la sua
tesi, affermi che « come moltissimi italiani d'allora portavano nomi greci, così nessuna meraviglia
che parecchi greci avessero nomi romani : il maestro Orso potè dunque essere benissimo greco di
nazione, e per il caso presente basta che il suo nome non sia longobardo ». Davvero che questo
escludere categoricamente che vi possa essere stato un artista italiano di qualche valore nel se-
colo vii, non ha un serio fondamento, mentre non risolve nessun punto veramente interessante
per le condizioni dell'arte, poiché, se è vero che certi motivi ornamentali provengono dall'oriente,
non è meno vero che, tanto nell'antichità classica quanto nel medio evo, tali motivi furono ripetuti
anche dagli artisti dell'occidente con quelle modificazioni che dipendevano dalla maggiore o minore
diligenza o perizia degli scalpellini.

sostenitori della cronaca del 1533 tentò di spiegare la
grande superiorità di questi rilievi di stucco sopra quelli
di marmo dell'altare di Ratchis, non tanto eoi supporre
maggior valentia nell'artefice, quanto avuto riguardo
alla malleabilità della materia da esso impiegata, più
docile al pensiero e più suscettiva di finezze. Ma, con-
tinua il Cattaneo, l'idea è del tutto errata, poiché anzi
avviene ordinariamente il contrario : cioè i lavori di
stucco riescono sempre più rozzi di quelli contempo-

ranei di marmo, tanto che l'occhio non sa illudersene
così di leggieri ». Anche qui abbiamo una asserzione
troppo categorica, la quale, non solo nega il fatto po-
sitivo e matonaie che lo stucco presenta maggiore faci-
lità di lavorazione al confronto del marmo, ma sopprime
altresì gratuitamente la possibilità che a quell'epoca un
bravo artefice si sia applicato a lavori di decorazione
in stucco.

1 Revue Archéologique, 361.
 
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