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Archivio storico dell'arte — 2.1889

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Fasc. XI-XII
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Miscellanea
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https://doi.org/10.11588/diglit.17348#0537

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490

con questa formano quasi un gruppo di monumenti,
analoghi per lo stile, per la provenienza e l'epoca della
loro origine, e sono: due statue doli'Annunziazione
nella chiesa parrocchiale d'Asciano; l'angelo Gabriele
acquistato da Ch. Timhal a Pisa e regalato al museo
di Cluny a Parigi, e la Madonna e l'angelo annun-
ziatile del museo di Lione, proveniente dalla chiesa di
S. Caterina a Pisa. (Gazette archéologique, t. XIII,
Chroniquo, p. 30 seg.). Tutto queste opere sono esenti
dal difetto d'invenzione penosa e meschina e da quella
certa rozzezza nell'esecuzione che si incontrano ordina-
riamente nelle sculture della scuola pisana, posteriori
a Giovanni, Andrea e Nino Pisano. Anzi per l'eleganza
della loro maniera si discostano spiccatamente dalle
produzioni della scuola propriamente detta pisana, e
s'avvicinano piuttosto a quello delle scuole pittoriche
fiorentine e senesi della seconda metà del Trecento.
Nel loro stile ideale si tradisce l'influenza della scuola
giottesca illanguidita, nelle tradizioni ripetute .con deso-
lante uniformità. Il Courajod addita addirittura i mo-
delli, da cui si sono ispirati gli autori delle opere in
questiono : sono, d'una parte, i continuatori di Simone
Martini e Lippo Memmi, dall'altra Taddeo e Agnolo
Gaddi, segnatamente l'ultimo, autore dell' Annunziata,
esposta sotto il numero 14 nel corridojo degli Uffizi,
che nella espressione e nel costumo delle figure rasso-
miglia del tutto alla Madonna e all'Angelo del museo
di Lione. Per spiegare il modo, nel quale questa in-
fluenza siasi potuta esercitare in tal misura, il Courajod
adduce testimonianze di documenti, dalle quali impa-
riamo, che nell'epoca accennata si dimandavano frequen-
temente disegni per statuo dai pittori rinomati per
servire da modelli agli scultori, i quali pare mancassero
sovente d'invenzione. 1

Del resto l'opera di scultura di cui trattiamo ò
interessante anche in un altro riguardo. L'aver essa
la sua policromia in modo sufficiente, avvalora da una
parte il fatto dimostrato da tanto testimonianze, che
cioè il dipingere e dorare delle sculture, non solo di
legno ma anche di marmo, fosso cosa ordinaria nell'arte
del modio evo o del Rinascimento (vedi op. cit. pp. 66,
08, 6'J) ; e d'altra parte ci porge un esempio istruttivo
por la pratica della policromia e conferma pienamente le
ricette elio il vecchio Connino Cennini nel suo Libro
dell'arte aveva raccolto; ricette o modi di procedere che
però risalgono ad un'epoca molto anteriore o il cui
punto di partenza si rintraccia già nella Schedula di-
v ersarum artium di Toofilo.

C. De Fabriczy

Un monumento medievale riconquistato
in Lodi. — Risale ai primi tempi di Lodinuovo la

\

1 Vedi le notizie tratte dai doeumenti dell'opera di S. Maria
del Fiore nel Semper, Die VorlauJ'cr Donatello's. Lipsia', 1870,
M>. 43 e 66.

basilica di San Lorenzo, fondatavi da M. Lanfranco do
Cassina, ultimo vescovo dell'antica e primo della nuova
città. In questa egli ebbe vita breve, e quindi secondo
i documenti dell'epoca la fondazione della chiesa deve
indubbiamente ripetersi fra l'anno 1154 in cui fu
posta dall' imperatore Federico la prima pietra della
nuova Lodi, ed il 1158 in cui moriva l'accennato ve-
scovo.

Se non che, chi l'avesse appena visitata un anno
fa, se si eccettua per qualche intelligente la compagine
molto interessante delle sue arcature e navate, non si
sarebbe probabilmente accorto di trovarsi in un am-
biente si antico. Intonacate e tinteggiato le colonne,
ingrossati i pilastrolli agli squarci dello cappelle, incal-
cinati gli antichi capitelli e ridotti a forme prettamente
scolastiche, aperte a mezzaluna grandi finestrate nella
navata mediana, ed in quella verso levante, adombrato
nell'interno della chiesa da un enorme cassone per
l'organo il bollissimo rosone a raggiera sulla porta mag-
giore, tutto simu'ava un barocco dei più pesanti e dis-
gustosi.

Venne finalmente il tempo di sbarazzare l'edificio
da tante sorprese. Una trave che inclinata dagli anni,
gravava sull'estradosso della volta; diede l'allarme, e
pensatosi alla rinnovazione del tetto con nuovi legnami
e tegole piane, si venne man mano ideando un
ristauro sulle basi dell'antico.

E diviso in tre parti il piano di esecuzione, si chiese
al R. Ministero l'approvazione di eseguirne quella più
urgente nell'interno della chiesa, riferibile alle finestre
superiori della navata mediana ed ai colonnati.

Incaricato dalla R. Prefettura di dirigere ed inspi-
rarne i lavori l'architetto Landriani di Milano, si ridus-
sero a forma tonda le tre aperture modiane, come si
aveva esempio in quelle, ora murato, all'esterno del-
l'abside dol coro. Poi sbarazzaronsi dal grosso intonaco
le colonne ed i pilastrelli, che ricomparvero di mattoni
tagliati regolarmente e si finamente uniti da quasi non
vedersene le connessure. Colle colonne vennero in luce
i primitivi capitelli di terra cotta, variati nella forma,
od alcuni col motivo ornamentale all'ingiro degli ovoli
tagliati a lingue, come nel grande rosono sulla porta
maggiore, che attesta la stessa mano od epoca. Erano
quasi tutti malconci, ma l'esperto scultore Giuseppe
Bianchi ne compiotava per bene le parti mancanti in
cemento.

Incoraggiato il ristauro da si felici risultati, si ten-
tarono degli assaggi nell'interno dello colonne e spe-
cialmente ad altra di quelle del presbitero, che, di
grossata dall'intonaco, appariva di rozzo muro di fab-
brica, dinotante qualche cosa di ripiego. Non si tardò
guari infatti ad avvertire che lo scalpello urtava in un
corpo ben duro, ribelle alla sua aziono tagliente. Era
una colonna di marmo che formava come il nocciolo
del pilone. E inutile dire che la si scoperse intiera-
mente dalla base alla sommità, fregiata da magnifico
capitello di marmo a stile romano. Perché poi quella
 
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