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Archivio storico dell'arte — 3.1890

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Fasc. VI
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Gnoli, Domenico: Le opere di Mino da Fiesole in Roma, [5]
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https://doi.org/10.11588/diglit.18089#0453

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DOMENICO (INOLI

nome di cardinale aquilano: ecco la probabile spiegazione dell'aquila, che non è racchiusa nello
scudo perchè non faceva parte dello stemma, ma indicava il nome sotto cui era conosciuto il car-
dinale committente.

Questi fu creato cardinale nel settembre del 1464, quando Mino era già, nel luglio di quel-
l'anno, a Firenze; e s'aggiunga inoltre che il cardinale Agnifilo, prima d'avere il titolo di Santa
Maria in Trastevere, ebbe quello di Santa Sabina: il che ritarderebbe ancora la data del ciborio.
Sembra perciò doversi escludere (dato che l'aquila debba riferirsi al cardinale Aquilano) la con-
temporaneità approssimativa di questo ciborio coll'altare di santa Maria Maggiore, e che si debba
assegnargli la data del 1471, la più prossima possibile alle sculture eseguite pel cardinale d'Estouteville.

Ma, poiché non è esclusa la possibilità di un ritorno di Mino a Roma tra il 1404 e il 1471,
e neppure è impossibile che l'opera sia stata eseguita a Firenze e di là mandata a Roma, io pre-
ferirei di ravvicinare il più possibile il ciborio a quelle sculture. E in primo luogo è da osservare
che il costume di firmare i suoi lavori coWOpus Mini cessa, almeno in Roma, assai presto:
troviamo infatti firmato l'angelo a san Giacomo degli Spagnoli, la Madonna a santa Maria Mag-
giore, e questo ciborio. Sopra la statua della Fede nel monumento di Paolo II (1471-72) ho ritro-
vato la leggenda, ma a piccoli caratteri e non visibili se non mettendovi gli occhi sopra, per distin-
guere il suo lavoro da quello prossimo, e firmato, del Dalmata: dopo, non si trova più in Roma
la firma di Mino. A questa ragione esterna, si aggiunga che gli angeli sono di fattura in tutto si-
mile a quelli di santa Maria Maggiore, a' quali s'avvicinano anche più che gli angeli in adorazione
nel ciborio di san Marco. Si noti la particolarità di quella fascia che, partendo dalla cintura, gira
dietro sotto al ginocchio, e torna alla cintura, al fianco opposto, incrociandosi sul corpo: il che
non si trova se non negli angeli di santa Maria Maggiore. I gigli campestri sorgenti da un vaso,
che adornano il piano dei pilastri, adornano anche la cornice di alcune madonne di Mino eseguite
dal 60 al 70, e un simile vaso con fiori simili è nel marmo da cui son ) state portate via le figure
d'Adamo e d'Eva, e che faceva parte del monumento di Paolo II. Quell'infelice angelo storpio che
sorregge la porticella (sulla quale ora c'è scritto olea sancia, ma serviva per f eucarestia) è ripetuto
in due angeli altrettanto storpi che sorreggono il nome di Gesù nel 1 ' interno dell' architrave del mo-
numento di Paolo II. Il fregio, formato di festoni di frutta pendenti da teste di cherubini, è quello
stesso del monumento del cardinale Ammannati. Le figure, più o meno, son tutte brutte: bruttissimi
gli angeli che sostengono la cornice e il timpano della porticella, anche più brutti i santi Padri che
si reggono su'due candelabri con un piede, mentre l'altro pende ciondoloni nell'aria: nè molto
migliore è il Cristo, mal formato, e colla testa piegata forzatamente sulla spalla destra.

Ma come lavoro di composizione e d'ornato poche opere può vantare più armoniche, più fine,
più eleganti l'arte del Rinascimento. È una festa dell'occhio; che, appagato dall'armonia dell'in-
sieme e delle morbide sfumature della luce e dell'ombra, avvivate dal luccichio dell'oro, non guarda
dove sieno attaccate le gambe, o da che parte escano fuori le braccia. La parte inferiore, chiusa
dalle due cornucopia, e con quell'aquila in cui il marmo gareggia colla morbidezza della piuma, è
un capolavoro di finezza e di buon gusto. Ugualmente fini sono i due candelabri, e lui te le parli
della decorazione. Si veda, per esempio, quella colomba nel timpano, che in ali re scul Iure è schiac-
ciata sul fondo, e qui se ne stacca gettandovi sopra una forte ombra come se neppure lo toccasse.
Egli è che Mino conosce mirabilmente tutte le finezze della tecnica, tutti i secreti dell'effetto.

Altri due cibori abbiamo in Roma simili a questo nella composizione: uno, di pessima scultura
e con stemma di casa Orsini, è nella chiesa di S. Francesca Romana, e un altro in quella di S. Ago-
stino, incassato, come abbiam visto, nel monumento di Costanza Piccolomini. In questi due cibori
però invece de' due candelabri abbiamo colonne scanalate a spirale. Un terzo in tutto simile, e desti-
nato a conservarvi l'olio santo, si trova fuori di Roma nel Duomo vecchio di Capranica (Sutri), ed
ha lo stemma degli Anguillara. In esso, l'imitazione dell'opera di Mino è visibile anche nel sostegno
o mensola, in cui fra le cornucopia è riprodotta l'aquila posata su d'un libro, divenuta qui semplice
motivo di decorazione.

Di questo ciborio non conosco l'originale, ma solo una fotografia eseguita e favoritami dall'in-
gegnere signor Boni; dall'esame della quale, sembra che esso sia lontano dalla finezza d'esecuzione
e dal gusto delle opere di Mino. Mentre però i due Padri posati sulle colonne non hanno neppure
 
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