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Archivio storico dell'arte — 2.Ser. 1.1895

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Fasc. VI
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https://doi.org/10.11588/diglit.19207#0478

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46!)

proprio allo stesso modo di quelle sottili crocette
d'oro le quali dai Longobardi si solevano portar
cucite sugli abiti. Il loro carattere stilistico, in
quanto al disegno figurato e al modo dell'ornamen-
tazione, corrisponde affatto a quello di simili pro-
duzioni dell'arte longobardica, di autenticità in-
contestata, dell'vili o ix secolo. E nondimeno il
simbolismo che si trova raffigurato in essi è quello
del secolo secondo, in piena contradizione coll'arte
dei Longobardi e con tutti i monumenti conosciuti
dell' vili e ix secolo. Il tesoro accoppia dunque la
tecnica de'tempi barbari e il simbolismo dei primi
secoli cristiani, due cose che assolutamente non si
accordano insieme! Nelle produzioni dell'arte dell' vili
e xi secolo si trovano di certo elementi del simbo-
lismo primitivo come segni isolati, adoperati a scopo
ornamentale; mai però vi si riscontra alcun simbo-
lismo, cioè alcun complesso d'immagini rappresen-
tanti in modo velato verità ed usanze della chiesa.
E quest'ultimo, appunto, è il caso nel nostro tesoro,
quando, per esempio, su una copertura di libro ve-
diamo il pesce rappresentato in atto di offrire ai
dodici apostoli che gli stanno attorno il pane e il
vino eucaristico, o, in un altro scompartimento della
stessa copertura, il pesce portar attraverso le onde
la nave crociata, e dal suo ventre scendere giù nel
fondo del mare un'enorme ancora, la speranza del-
l'immortalità, per cui salgono su due naufraghi,
mentre sulle sue braccia stanno ritti uno rimpetto
all'altro due agnelli crocesegnati. Additando l'au-
tore ancora a parecchi altri esempi di simbolismo
n in meno strani che si scorgono nel nostro tesoro,
si domanda come mai un tal simbolismo sia conce-

r

pibile nel secolo vm incirca? Egli lo dichiara giusta-
mente un anacronismo, un violento risuscitamento
di forme e di pensieri da lungo sepolti, anzi, nella
sua lussureggiante ricchezza, nella sua ridicola in-
temperanza, una impossibilità per qualunque epoca
dell'arte antica cristiana o del primo medio evo.
Mancano sul nostro tesoro diversi elementi figura-
tivi familiari ai secoli vii-ix, come il monogramma,
le lettere A e ii, il nimbo; mancano le immagini
degli nngeli, dei santi, specialmente della Vergine,
le scritte sotto le figure, i nomi ed i testi relativi
agli animali simbolici degli evangelisti. La man-
canza di tutto questo complesso di peculiarità, che
caratterizzano il periodo postcostantiniano di fronte
al precostantiniano, fa credere che l'artefice volle
a tutti i costi far risalire la sua opera ad un'epoca
anteriore a Costantino. Ma d'altra parte questa ori-
gine viene esclusa dal carattere del disegno e del-

l'ornamentazione, come si espose più sopra. A che
epoca dunque assegnare il tesoro? La rappresen-
tazione del Crocifisso in una delle lamine si di-
scosta affatto da tutto che di simile si conosce nel-
l'arte del primo millennio; e nell'esame dei vari
oggetti liturgici si svela la sovrana ignoranza dei
canoni archeologici presso chi li raffigurò. Così, per
esempio, l'autore del tesoro ci offre più d'una mitra
episcopale, mentre sappiamo ch'essa non apparisce
su monumenti prima del mille; ci somministra
perfino una corona episcopale, benché si sappia che
mai i vescovi hanno portato simile corone; ci pre-
senta pastorali vescovili, ad onta che sui monumenti
anteriori al ix secolo non se ne trovino; raffigura

/ o

un vescovo in vestimenta liturgiche quali si cer-
cano invano nelle rappresentanze relative dei se-
coli vi-ix, principalmente nei musaici; inventa un
vaso per il vino eucaristico in forma d'un agnello
posto sopra un piatto d'argento con dodici bicchie-
rini intorno saldati al piatto (!), oggetto che non si
è mai sentito aver esistito in tutta l'arte cristiana.

E per dimostrare finalmente anche dal lato ma-
teriale la non autenticità del tesoro l'autore adduce
la testimonianza di periti degni d'ogni fiducia, i
quali unanimemente dichiararono, dopo esame fatto
sui pezzi nel possesso del conte Stroganoff, non
poter in nessun modo attribuirsi a codeste argen-
terie a cagione della loro flessibilità (che nel corso
di tanti secoli avrebbe dovuto cambiarsi in rigi-
dezza e fragilità) una età di mille e più anni, e
inoltre constatarono che l'ossidazione degli argenti
del tesoro, la quale dà loro un aspetto antichissimo,
non ò naturale, ma ottenuta con acido solforico.
Confermato così dal lato materiale il giudizio che
l'autore dietro ragioni estrinseche e intrinseche pro-
nunziò contro l'autenticità del cosidetto tesoro an-
tico cristiano, c'è da sperare ch'esso per tal modo de-
finitivamente scomparirà dal dominio della scienza,
il che accadrà, di certo, senza alcuno svantaggio di
essa.

C. de eaMUCZY.

Pietro Franceschini. Il Dossale d'argento del Tempio di

San Giovanni in Firenze. Memoria storica. Firenze,

A. Ciardi, 1894, in-8 gr. di 31 pag.

Il presente scritto di quel ricercatore indefesso
e custode sempre all'erta quando si tratta di difen-
dere gl'interessi artistici della sua città natale, che
è il Franceschini, si rivolge contro una memoria
della Deputazione secolare di S. INI. del Fiore, tu-
trice anche per il Battistero, nella quale all'ap-
 
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