DISEGNI DI ANTICHI MAESTRI
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E in vero, non potendo entrare qui in particolari di confronti, vorremmo semplicemente
accennare come ragione essenziale della nostra opinione la circostanza ben palese della
molta maggiore libertà e scorrevolezza del tratto di penna nei due schizzi di Oxford in con-
fronto dell’altro, per cui l’impressione del soggetto giunge all’occhio come di cosa più viva-
cemente selvaggia, certamente in maggiore concordanza con l’idea intenzionale del primi-
tivo autore.
Successivamente la nostra attenzione viene richiamata sopra alcuni artisti veneti. Primo
fra questi, da nominarsi, è il padovano Giulio Campagnola. Figliuolo di Gerolamo, dipinse,
miniò e intagliò in rame molte belle cose, così in Padova, come in altri luoghi. E quanto
dice di questo ingegno poco noto il Vasari, nella vita di Vittore Scarpaccia. Nato, da quanto
si può presumere, nel 1481, si sa che dovette essere di una precocità eccezionale, da che
uno scrittore contemporaneo, Matteo Bosso, ce lo viene documentando, poco più che fan-
ciullo, circa l’anno 1494, come perito di lettere latine ed ebraiche, poeta, pittore, scultore,
cantante e suonatore, tutto in grado distinto.
De’ suoi quadretti già in casa di Messer Pietro Bembo, citati dall’Anonimo più nulla
si sa. Dell'uno egli dice che rappresentava una nuda, tratta da Zorzi, ossia da Giorgione,
dell’altro che si riferiva egualmente ad una nuda in atto di dare acqua ad un albero, tratta
da Benedetto Diana, con due puttini che zappano. Di lui non rimane altro in fine di sicuro,
in fatto di opere d’arte, se non un piccolo numero di stampe. Fra queste merita una men-
zione speciale quella segnata Julius Campagnola fi, dov’è raffigurato uno slanciato San Gio-
vanni Battista, ritto in mezzo ad un paesaggio ; documento interessante, in quanto ci serve
di riprova dell’ impressione da lui sentita alla vista delle opere di due diversi indirizzi d’artisti
nel passaggio dal Quattro al Cinquecento, essendo evidente che la figura del .San Giovanni
Battista ò desunta da un prototipo del Mantegna, il paesaggio che lo circonda invece da
Giorgione. Della quale cosa ciascuno vorrà persuadersi anche nell’osservare semplicemente
la qui unita fig. 7, ricavata da un disegno appartenente alla raccolta del volume che sta
nella Biblioteca Ambrosiana. Quivi passa per opera del Mantegna, ma non è altro in realtà
che una copia antica dalla incisione del Campagnola suindicata, fatta nello stesso senso della
stampa e in proporzioni analoghe. Le macchie che deturpano parte del foglio, di cui ci fu
gentilmente concessa la fotografia dalla ditta Braun, Clément e C.1 non impediscono di riscon-
trare la classica austerità mantegnesca nella figura dell’ascetico santo del pari che l’elemento
essenzialmente pittoresco del fondo, co’ suoi casolari sparsi, gli arbusti e le macchiette dei
pastori con le loro pecorelle secondo gl’ ideali giorgioneschi. Che il disegno tuttavia non si
abbia a ritenere, non che del Mantegna, neppure di Giulio Campagnola, non può rimanere
dubbio ogniqualvolta si consideri come non vi si ravvisi una intelligenza e finezza nel con-
torno pari a quella della stampa corrispondente (che ci fu dato paragonare direttamente) —
senza tener conto inoltre della circostanza, che il disegno è condotto nello stesso senso della
stampa — cosa che non si sarebbe verificata se le avesse servito da esemplare.
Lo strano si è che dello stesso soggetto esiste un altro disegno nella raccolta della
Scuola delle Belle Arti in Parigi, quivi ritenuto per opera dell’incisore nominato, forse perchè
eseguito nel senso opposto alla stampa, ma che dalla fattura larga e sommaria e dalle no-
tevoli varianti che offre si palesa per lavoro assai più tardo, fatto tuttavia con una vigorìa
grandiosa da far pensare a Tiziano e suoi seguaci. Anche di questo, col consenso cortese
della ditta Braun, si dà qui riprodotta l’imagine nella fig. 6, come termine di confronto,
lasciando agli osservatori arguti di trarre altre eventuali conclusioni, col pensare fra altro
al mirabile quadro del San Giovanni Battista di Tiziano nell’Accademia delle Belle Arti a
Venezia.
Se non riesce a persuaderci interamente come opera di Giulio il disegno alquanto timido,
presentatoci dal sig. Colvin, è ben convincente invece quello di Domenico, che vuoisi abbia
preso il cognome di Campagnola dal suo primo maestro Giulio. Di simili vedute di vasti
paesi ne esistono ben parecchie nelle raccolte, e si capisce che l’autore vi acquistò una pratica
L’Arte, Vili, 32.
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E in vero, non potendo entrare qui in particolari di confronti, vorremmo semplicemente
accennare come ragione essenziale della nostra opinione la circostanza ben palese della
molta maggiore libertà e scorrevolezza del tratto di penna nei due schizzi di Oxford in con-
fronto dell’altro, per cui l’impressione del soggetto giunge all’occhio come di cosa più viva-
cemente selvaggia, certamente in maggiore concordanza con l’idea intenzionale del primi-
tivo autore.
Successivamente la nostra attenzione viene richiamata sopra alcuni artisti veneti. Primo
fra questi, da nominarsi, è il padovano Giulio Campagnola. Figliuolo di Gerolamo, dipinse,
miniò e intagliò in rame molte belle cose, così in Padova, come in altri luoghi. E quanto
dice di questo ingegno poco noto il Vasari, nella vita di Vittore Scarpaccia. Nato, da quanto
si può presumere, nel 1481, si sa che dovette essere di una precocità eccezionale, da che
uno scrittore contemporaneo, Matteo Bosso, ce lo viene documentando, poco più che fan-
ciullo, circa l’anno 1494, come perito di lettere latine ed ebraiche, poeta, pittore, scultore,
cantante e suonatore, tutto in grado distinto.
De’ suoi quadretti già in casa di Messer Pietro Bembo, citati dall’Anonimo più nulla
si sa. Dell'uno egli dice che rappresentava una nuda, tratta da Zorzi, ossia da Giorgione,
dell’altro che si riferiva egualmente ad una nuda in atto di dare acqua ad un albero, tratta
da Benedetto Diana, con due puttini che zappano. Di lui non rimane altro in fine di sicuro,
in fatto di opere d’arte, se non un piccolo numero di stampe. Fra queste merita una men-
zione speciale quella segnata Julius Campagnola fi, dov’è raffigurato uno slanciato San Gio-
vanni Battista, ritto in mezzo ad un paesaggio ; documento interessante, in quanto ci serve
di riprova dell’ impressione da lui sentita alla vista delle opere di due diversi indirizzi d’artisti
nel passaggio dal Quattro al Cinquecento, essendo evidente che la figura del .San Giovanni
Battista ò desunta da un prototipo del Mantegna, il paesaggio che lo circonda invece da
Giorgione. Della quale cosa ciascuno vorrà persuadersi anche nell’osservare semplicemente
la qui unita fig. 7, ricavata da un disegno appartenente alla raccolta del volume che sta
nella Biblioteca Ambrosiana. Quivi passa per opera del Mantegna, ma non è altro in realtà
che una copia antica dalla incisione del Campagnola suindicata, fatta nello stesso senso della
stampa e in proporzioni analoghe. Le macchie che deturpano parte del foglio, di cui ci fu
gentilmente concessa la fotografia dalla ditta Braun, Clément e C.1 non impediscono di riscon-
trare la classica austerità mantegnesca nella figura dell’ascetico santo del pari che l’elemento
essenzialmente pittoresco del fondo, co’ suoi casolari sparsi, gli arbusti e le macchiette dei
pastori con le loro pecorelle secondo gl’ ideali giorgioneschi. Che il disegno tuttavia non si
abbia a ritenere, non che del Mantegna, neppure di Giulio Campagnola, non può rimanere
dubbio ogniqualvolta si consideri come non vi si ravvisi una intelligenza e finezza nel con-
torno pari a quella della stampa corrispondente (che ci fu dato paragonare direttamente) —
senza tener conto inoltre della circostanza, che il disegno è condotto nello stesso senso della
stampa — cosa che non si sarebbe verificata se le avesse servito da esemplare.
Lo strano si è che dello stesso soggetto esiste un altro disegno nella raccolta della
Scuola delle Belle Arti in Parigi, quivi ritenuto per opera dell’incisore nominato, forse perchè
eseguito nel senso opposto alla stampa, ma che dalla fattura larga e sommaria e dalle no-
tevoli varianti che offre si palesa per lavoro assai più tardo, fatto tuttavia con una vigorìa
grandiosa da far pensare a Tiziano e suoi seguaci. Anche di questo, col consenso cortese
della ditta Braun, si dà qui riprodotta l’imagine nella fig. 6, come termine di confronto,
lasciando agli osservatori arguti di trarre altre eventuali conclusioni, col pensare fra altro
al mirabile quadro del San Giovanni Battista di Tiziano nell’Accademia delle Belle Arti a
Venezia.
Se non riesce a persuaderci interamente come opera di Giulio il disegno alquanto timido,
presentatoci dal sig. Colvin, è ben convincente invece quello di Domenico, che vuoisi abbia
preso il cognome di Campagnola dal suo primo maestro Giulio. Di simili vedute di vasti
paesi ne esistono ben parecchie nelle raccolte, e si capisce che l’autore vi acquistò una pratica
L’Arte, Vili, 32.