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GIUSEPPE PIOCCU
che deve ormai appoggiarsi sui dati sicuri scoperti, le opere dell’artista; qui mi basterà precisare che
cosa rappresenti veramente il periodo romano nell’attività di Bartolomeo Suardi.1 2 *
Sarà facile comprendere che la nascita dell’artista non deve ormai più essere collocata intorno al
1468, ma dopo il 1480: in modo cioè da permettere al giovanetto di entrare — forse come garzone
nella bottega di Bramante, che lasciò Milano nell’autunno del 1499. Ma questo tirocinio non lasciò
certo traccie nell’opera del giovanetto, il quale eseguendo agli inizi del Cinquecento le prime sue pit-
ture e fra queste l’Adorazione dell’Ambrosiana; segue la maniera locale del Bininone, solo aggiungen-
dovi una maggiore quantità di elementi mantegnesco-ferraresi, e quel che è più tutto il suo genio.
La vera maniera artistica del Bramantino incomincia a Roma. Perchè se la cupoletta di San Do-
menico a Napoli è del 1511, è troppo ragionevole pensare che si debbano all’influenza romana anche
il quadretto di Colonia, che è tanto prossimo a quegli affreschi, e quell’Adorazione dei Magi Layard,
che ne è come la conseguenza. Arriviamo così al 1513 circa.
Resta ora da provare come non possa essere di quell’anno la Pietà posseduta dal dott. Michele
Berolzheimer a Monaco, e innanzi nella raccolta Artaria a Vienna, che il Suida ha creduto poter
identificare con quella inviata dai cistercensi di Cbiaravalle a San Sabba di Roma.* Ma a tutto questo
risponde meglio di me l’opera stessa di uno stile assai posteriore al quadro Layard, ed anche il testo
del documento, nel quale si parla di Cristo morto in seno della Madre, laddove nella Pietà di Monaco
il Redentore è steso sopra il cataletto e contornato dai discepoli e dalle pie donne piangenti.
Ricorderò solo, perchè sfuggito al Suida e interessante per la storia del quadro Berolzheimer che
di questa Pietà esisteva una ripetizione su tela (alta 79 pollici per 44 di larghezza) nella Collezione
Giustiniani, come c’istruisce il « Catalogue Figurò» edito a Parigi nel 1812 da C. P. Landon e più
che tutto l’incisione che ne trasse il Normand. Pietà che l’illustratore male identificava con quella
dipinta ad affresco dal Signorelli a Castiglion Fiorentino, citata dal Vasari nella vita di Luca.5
Se la Pietà Berolzheimer significherebbe, ove fosse posta intorno al 1513 — una decadenza ingiustificata,
il Cristo Del Mayno sarebbe invece, dopo l’Adorazione dei Magi Layard uno strano ritorno alla tecnica
ferrarese, ed è per questo ch’io la ravvicino all’Adorazione dell’Ambrosiana, e credo rappresenti un
primo accenno, del tutto esteriore, all’ imitazione bramantesca.
Nel Salvatore non vediamo che una variante e un’amplificazione della figura femminile che domina
nel primo piano dell’Adorazione ambrosiana. Ferrarese è ancora del resto quella tendenza d’allungar
le figure, quel far le palpebre gravi, quell’appiattire il corpo. Certo è più connessione stilistica fra il
meraviglioso Cristo del Mayno, come rischiarato da una fredda luce interiore e l’esile e macerato Bat-
tista di Ercole da Ferrara, del Friedrich Museum di Berlino, che fra quello e l'Ecce Homo di Chiara-
valle, tozzo, atticciato, dalle carni levigate ed ossee, dai capelli segnati crine per crine; e possiamo
pensare che provenga dalla Certosa di Pavia ove se ne conserva, nel Museo, una copia; forse quella
del pittore Galeazzo Porbonelli di cui ci dà notizia un « libro di uscita » del convento (1564).4
Ultima opera che va posta innanzi alla partenza per Roma, e che mostra una larghezza sempre
maggiore — benché tenuta entro i limiti del linearismo lombardo-ferrarese — è la Pietà di San Se-
polcro a Milano, di schema veneto-mantegnesco, quale ci appare nella pittura primitiva di Giambellino
al Palazzo Ducale. Essa è certo l’opera più prossima al quadro di Colonia, ma conserva ancora una
solidità quattrocentesca, che più non si ritroverà nel Bramantino dopo la dimora a Roma. Ed è in questa
larva di bellissimo affresco che si nota più evidente l’influenza di Bramante, specialmente nell'apostolo
Giovanni, che sorregge un braccio del defunto Maestro e lo piange; figura quasi calcata sull’Ecce
Homo di Chiaravalle.
1 11 Lomazzo (Trattato dell'arte della pittura, 1585,
l.ibro VI, cap. 56, pag. 457) attribuisce un qualche valore
al periodo romano del Suardi allorché osserva : «... molte
altre sorti però di panni si trovino dipinte, come da Bra-
mante, da Andrea Mantegna, et da altri-, tolti da modelli
vestiti di carte et tele incoiate. La qual via segui anco Bra-
mantino avanti !che andasse a Roma. Donde poi tornando
usò un’altra foggia di fare i panni che parevano a l’incontro
troppo molli et rilassati » .
2 Cfr. Michele Caffi. Dell’Abbazia di Chiaravalle. Mi-
lano, 1842, pag. 52; E. Motta, Arch. stor. lomb., 31 di-
cembre 1895, pag. 331 e seg. e A. Ratti, Arch. stor. lomb ,
1896, pag. 104.
5 Annales du Mascè. Galerie Giustiniani, redigé par C. P
I.andon, Paris 1812, pag. 9. La Pietà dipinta su tela della
Galleria Giustiniani si potrebbe identificare C< n la copia del
Museo di Gottinga. A meno che non si tratti dell’originale
e che tanto la ripetizione citata e la tavola del dott. Berolz-
heimer — piuttosto piatta e vuota — siano entrambe copie
più o meno buone.
4 Are, stor. lomb., 1879, pag. 141.
GIUSEPPE PIOCCU
che deve ormai appoggiarsi sui dati sicuri scoperti, le opere dell’artista; qui mi basterà precisare che
cosa rappresenti veramente il periodo romano nell’attività di Bartolomeo Suardi.1 2 *
Sarà facile comprendere che la nascita dell’artista non deve ormai più essere collocata intorno al
1468, ma dopo il 1480: in modo cioè da permettere al giovanetto di entrare — forse come garzone
nella bottega di Bramante, che lasciò Milano nell’autunno del 1499. Ma questo tirocinio non lasciò
certo traccie nell’opera del giovanetto, il quale eseguendo agli inizi del Cinquecento le prime sue pit-
ture e fra queste l’Adorazione dell’Ambrosiana; segue la maniera locale del Bininone, solo aggiungen-
dovi una maggiore quantità di elementi mantegnesco-ferraresi, e quel che è più tutto il suo genio.
La vera maniera artistica del Bramantino incomincia a Roma. Perchè se la cupoletta di San Do-
menico a Napoli è del 1511, è troppo ragionevole pensare che si debbano all’influenza romana anche
il quadretto di Colonia, che è tanto prossimo a quegli affreschi, e quell’Adorazione dei Magi Layard,
che ne è come la conseguenza. Arriviamo così al 1513 circa.
Resta ora da provare come non possa essere di quell’anno la Pietà posseduta dal dott. Michele
Berolzheimer a Monaco, e innanzi nella raccolta Artaria a Vienna, che il Suida ha creduto poter
identificare con quella inviata dai cistercensi di Cbiaravalle a San Sabba di Roma.* Ma a tutto questo
risponde meglio di me l’opera stessa di uno stile assai posteriore al quadro Layard, ed anche il testo
del documento, nel quale si parla di Cristo morto in seno della Madre, laddove nella Pietà di Monaco
il Redentore è steso sopra il cataletto e contornato dai discepoli e dalle pie donne piangenti.
Ricorderò solo, perchè sfuggito al Suida e interessante per la storia del quadro Berolzheimer che
di questa Pietà esisteva una ripetizione su tela (alta 79 pollici per 44 di larghezza) nella Collezione
Giustiniani, come c’istruisce il « Catalogue Figurò» edito a Parigi nel 1812 da C. P. Landon e più
che tutto l’incisione che ne trasse il Normand. Pietà che l’illustratore male identificava con quella
dipinta ad affresco dal Signorelli a Castiglion Fiorentino, citata dal Vasari nella vita di Luca.5
Se la Pietà Berolzheimer significherebbe, ove fosse posta intorno al 1513 — una decadenza ingiustificata,
il Cristo Del Mayno sarebbe invece, dopo l’Adorazione dei Magi Layard uno strano ritorno alla tecnica
ferrarese, ed è per questo ch’io la ravvicino all’Adorazione dell’Ambrosiana, e credo rappresenti un
primo accenno, del tutto esteriore, all’ imitazione bramantesca.
Nel Salvatore non vediamo che una variante e un’amplificazione della figura femminile che domina
nel primo piano dell’Adorazione ambrosiana. Ferrarese è ancora del resto quella tendenza d’allungar
le figure, quel far le palpebre gravi, quell’appiattire il corpo. Certo è più connessione stilistica fra il
meraviglioso Cristo del Mayno, come rischiarato da una fredda luce interiore e l’esile e macerato Bat-
tista di Ercole da Ferrara, del Friedrich Museum di Berlino, che fra quello e l'Ecce Homo di Chiara-
valle, tozzo, atticciato, dalle carni levigate ed ossee, dai capelli segnati crine per crine; e possiamo
pensare che provenga dalla Certosa di Pavia ove se ne conserva, nel Museo, una copia; forse quella
del pittore Galeazzo Porbonelli di cui ci dà notizia un « libro di uscita » del convento (1564).4
Ultima opera che va posta innanzi alla partenza per Roma, e che mostra una larghezza sempre
maggiore — benché tenuta entro i limiti del linearismo lombardo-ferrarese — è la Pietà di San Se-
polcro a Milano, di schema veneto-mantegnesco, quale ci appare nella pittura primitiva di Giambellino
al Palazzo Ducale. Essa è certo l’opera più prossima al quadro di Colonia, ma conserva ancora una
solidità quattrocentesca, che più non si ritroverà nel Bramantino dopo la dimora a Roma. Ed è in questa
larva di bellissimo affresco che si nota più evidente l’influenza di Bramante, specialmente nell'apostolo
Giovanni, che sorregge un braccio del defunto Maestro e lo piange; figura quasi calcata sull’Ecce
Homo di Chiaravalle.
1 11 Lomazzo (Trattato dell'arte della pittura, 1585,
l.ibro VI, cap. 56, pag. 457) attribuisce un qualche valore
al periodo romano del Suardi allorché osserva : «... molte
altre sorti però di panni si trovino dipinte, come da Bra-
mante, da Andrea Mantegna, et da altri-, tolti da modelli
vestiti di carte et tele incoiate. La qual via segui anco Bra-
mantino avanti !che andasse a Roma. Donde poi tornando
usò un’altra foggia di fare i panni che parevano a l’incontro
troppo molli et rilassati » .
2 Cfr. Michele Caffi. Dell’Abbazia di Chiaravalle. Mi-
lano, 1842, pag. 52; E. Motta, Arch. stor. lomb., 31 di-
cembre 1895, pag. 331 e seg. e A. Ratti, Arch. stor. lomb ,
1896, pag. 104.
5 Annales du Mascè. Galerie Giustiniani, redigé par C. P
I.andon, Paris 1812, pag. 9. La Pietà dipinta su tela della
Galleria Giustiniani si potrebbe identificare C< n la copia del
Museo di Gottinga. A meno che non si tratti dell’originale
e che tanto la ripetizione citata e la tavola del dott. Berolz-
heimer — piuttosto piatta e vuota — siano entrambe copie
più o meno buone.
4 Are, stor. lomb., 1879, pag. 141.