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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 19.1916

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Fasc. 4
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Bollettino bibliografico
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https://doi.org/10.11588/diglit.17336#0400

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BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO

Storia dell'Arte in generale.

84. Nicodemi (Giorgio). L'Arte Milanese nell'età
neoclassica. Milano, Alfieri e Lacroix, 1916.

Ritengo temi di questa fatta eccezionalmente difficili. Nulla
di più arduo, mi sembra, che distrigare i convolti e riflessi
procedimenti culturali e psichici che producono nell'arte, o
spesso soltanto in margine all'arte, momenti come il neoclas-
sico. Voi sapete di certo con quanta delicatezza Berenson
ha creduto di dover toccare delle relazioni di Mantegna con
l'antichità; e della sua concezione romantica del mondo clas-
sico, deliziosissima cosa. Ora pensate con quanta maggior
cautela, in campo di valori d'arte, vada toccata una questione
come la neoclassica in cui non v'ò neppure più la possibilità
della concezione romantica dell'antichità, poiché vi s'è già
sostituito, come precedente, un complesso occhialuto e cultu-
rale, che risponde al nome di archeologia.

Dunque una tesi di laurea com'è questa del Nicodemi
non può riescir bene; è tema, ripeto, da critici navigati fra
tutti gli scogli e le secche, e che non si lascino prendere la
mano dall'argomento.

Invece il Nicodemi, che pure è un giovine di qualche dote,
s'è, a parer mio, troppo infatuato della piccola idea vera che
il neoclassicismo italiano sia sorto indipendente da quello
francese; ed ha finito così per crogiolarsi talmente in essa,
che il giudizio finale sul periodo, giudizio che doveva pur es-
sere negativo, si tramuta — forse — in positivo, e ne viene così
distrutto il senso delle proporzioni storiche, e della continuità
positiva della storia artistica.

Sta, certamente, il fatto che alcuni elementi settecenteschi
persistono non solo in Traballesi, ch'è un vero barocco e che
qui è troppo legato al momento neoclassico, ma anche nello
Knoller, in Appiani. Ma questa costatazione iniziale ha bi-
bisogno di essere messa in valore 0 svalutata da costatazioni
ulteriori che sarebbero queste: o quegli elementi settecen-
teschi (barocchi) sono il fondo positivo, formativo, dell'arte
di Appiani e di Bossi, 0 sono semplici residui mnemonici di
forme che a poco a poco essi mettono da parte. Nel primo caso
la prima constatazione viene a valorizzarsi compiutamente,
ad attuarsi nella storia; nel secondo diviene un fatto trascu-
rabile nelle grandi linee della storia d'arte.

Ora nel vedere come il Nicodemi si rifaccia prima al '700
lombardo, poi ancora al '600 si prevede subito che egli prende
partito per la prima delle due costatazioni ulteriori. Una let-
tura attenta di questo capitolo iniziale ci convince però della
vanità del tentativo. Nulla di più forzato che questi attacchi
successivi con l'arte buona del '700 e del '600; ne viene fuori

uno di quei c«pitoloni capitosi, apparentemente ordinati e
intimamente scapigliati, dove le volate di un entusiasmo
aprioristico sollevano nubi di polvere tra le stipe dei nomi a
rifascio, e l'occhieggiare obliquo ed umile delle date.

Certo è. facile preparare al classicismo riprendendo, come
fa il Nicodemi, la tesi errata che il Bernini sia un classicista;
e più tardi interpretando allo stesso modo anche più incredi-
bilmente lo stesso Tiepolo. Ci si frega gli occhi leggendo
(p. 17) che «il Tiepolo ha la ricerca classica più d'ogni altro
artista», che «le figure dei peducci della cappella Colleoni...
sono tutte piene di quell'entusiasmo fanatico che le richiama
all'arte di Roma » e l'altra definizione (a pag. 23) di « G. B. Tie-
polo convinto restauratore dell'arte di Roma antica... »; si
ha quasi l'in pressione che si tratti di uno scherzo.

Ma con questo metodo è ben naturale che il Nicodemi
concluda: « Il neoclassicismo culmine che tutto il secolo an-
tecedente sembrò maturare e preparare »! Per chi invece è
convinto che Tiepolo, Piazzetta, Pittoni, Guardi e qualche
altro rappresentino poco meno di quello che Goya rappresenta
in Ispagna, sicché nulla osta vi era in Italia, in sede di
storia dell'arte, che a Tiepolo, con l'anello di un Delacroix,
non seguisse un Courbet, o un Manet, quella frase del Nico-
demi quando fosse variata semplicemente così: «il neoclas-
sicismo culmine gelido o fredda voragine (a piacimento) che
il secolo antecedente sembrò prepararsi ad evitare », sem-
brerebbe forse più giusta.

Ridotti cosi i vari fatti storici a esatte proporzioni, si potrà
seguire il Nicodemi nella ricerca di fatti non importanti ma veri,
quali, ad esempio, la preparazione di elementi neoclassici in
certi decoratori del '700, come Biagio Bellotti da Busto Ar-
sizio, Antonio de Giorgi ed altri minori. Ed è la ricerca del
secondo capitolo: « La Pittura a Milano nella seconda metà
del "700 », ove si esaminano anche le teorie artistiche di
Germania e di Francia, le loro vie di penetrazione, il senti-
mento italiano dell'arte e simili, con elementi già alla mano
di chi conosca libri nutriti come quello del Justi, per esempio,
su Winckelmann e il suo secolo.

E noi siamo ben certi che a proposito del classicismo fran-
cese il Nicodemi, una volta ristabilito in sè il senso delle pro-
porzioni storiche, avrebbe appuntato un po' meno gli strali
contro il David, e si sarebbe di certo ricordato che un fondo
solido e vero, esso sì di certo secentesco (tradizione Le Nain-
Chardin) è ciò che permette a David di creare ritratti come
quello di Marat. E infine non è senza significaro che la tradi-
zione David produca un Ingres, che non ha avuto, ch'io mi
sappia, un degno pendant in Italia.

Il senso di alta necessità storica sfugge anche dalla tratta-
 
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