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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 20.1917

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Fasc. 4
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Bollettino bibliografico
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https://doi.org/10.11588/diglit.17337#0395
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bollettino bibliografico

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derivazioni c da una buona copia contemporanea (X^WAdo-
razione dei Pastori (188), frescata a Pieve di Cadore dai di-
scepoli, su disegni del maestro e distrutta nel 1813; e ben
gli si accompagna il Pordenone con due cartoni pieni di ar-
ditezza (196-197). IJ Adorazione del Bambino di Gerolamo
da Treviso, buona replica del noto quadro di Dresda, ci dà
quindi esempio di quelle strane mescolanze veneto-emiliano-
raffaellesche, che pur rendendolo grato, come in questo
quadretto, non persuadono mai.

Dopo di un tal ibrido lavoro attira specialmente la nostra
attenzione un ritratto assai guasto, ma opera probabile del
Tintoretto (210), dal quale si scende piacevolmente allo
Schiavone, che ha comune col suo terribile vicino la deriva-
zione bonifaciesca. Due belle opericciuole (219-220), di cui
una rivendicatagli giustamente dall'A. in contrasto con
l'opinione del Berenson, che la vorrebbe di Polidoro da
Lanciano, lo mostrano sugoso colorista. Si chiude quindi la
serie delle opere del miglior periodo dell'arte veneziana con
un gruppo di sei piccole copie (223-227) rappresentanti degli
Dei, che sono tutto quanto ci rimane a ricordarci Ì freschi
distrutti di Paolo Veronese, dipinti nel 1557 nel Palazzo Tre*
vi san a Murano, oltre alle due stampe di A. M. Zanetti che
ne riproducono due soli.

Delle altre scuole ricorderemo i frammenti di cartoni
(78-79-80-81), per arazzi del Vaticano, che attestano più
la miseria che la grandezza della scuola di'Raffaello e il pre-
teso Ritratto di Beatrice d* liste, ricavato da quella di Palazzo
Pitti, ridotto a rappresentare S. Caterina, che il B. stima una
copia e avvicina opportunamente ad uno del Museo André,
dato al Preda 0 al Beltramo, ma che ora il Malaguz/i, nel
suo terzo volume sulla Corte eli Ludovico il Moro, ritorna giu-
stamente al suo autore: Bernardino de' Conti, senza far cenno
di questo, che dà l'impressione d'un pasticcio, conio quasi
tutte le pitture di quel goffo lombardo.

Giungiamo così al nucleo secentesco, pelago periglioso
e quasi ignoto, in cui non è meraviglia soiprendere in imba-
razzo anche il B. Sappiamo del resto di poter fare le corre-
zioni (die proporremo, in buona parte almeno, col consenso
dell'autore stesso; il che non poco ci conforta. Non sarà ne-
cessario ch'io insista troppo per i lettori dell' Arte sovra la
India tela caravaggesca rappresentante una donna in atto
di acconciarsi davanti a uno specchio, con un servitore (96),
per dimostrare che non si può fare per essa il nome del Gar-
bini, ma quello di Orazio Gentileschi, poiché la hgura femmi-
nile rappresentata non è (die una ripetizione di quella, camuf-
fata da S. Caterina della Galleria Barberini, testé rivendica-
tagli dal Longhi; e l'opera tutta poi, per il taglio e, l'unità
luminosa, logicamente caravaggesca, si ricollega a quella della
Galleria Pitti, rappresentante 5. Gerolamo e due angeli.

Neppure difficoltoso sarà, a quanti hanno studiato i begli
esemplari di paesaggio del Testa, che possiede la Galleria
Spada, riconoscerne l'opera ned' Uccisione di S. Pietro Mar-
tire (135), ispirata da Tiziano, ma trattata a figure piccole,
come avrebbe fatto il Poussin, su uno sfondo luminoso
di paese, per la caratteristica chiara sofficità delle nubi,
per l'abilissimo profondare e per l'assenza delle particolaris-

sime fronde a frappa, che non basterebbero ancora a giusti-
ficare il nome di A. Carracci, meno spiritoso sempre e più
pesante nel tratto. La valentia di P. Testa è del resto tutta
ancora da rivendicare, e succede spesso di vederlo confuso
con l'uno o con l'altro, come \\q\Y Ismaele ed Agar della N. G. di
Londra, data a Salvator Rosa.

1! paesaggio carraccesco è però esemplificato al C, C. da due
opere tipiche del suo migliore maestro, il Domeniehino (149-
150). le quali dimostrano chiaramente come spetti al Zam-
pieri e ai bolognesi il mexdto o per lo meno la paternità del
calcolato e maestoso paesaggio eroico.

I Carracci sono poi rappresentati nella raccolta dall'ar-
guto ritratto di Jacopo Turrino (130) di Ludovico, non im-
memore di Tintoretto, e da una strana rappresentazione di
una bottega di macellaio (136), nella quale, secondo i vecchi
cataloghi, sarebbero stati raffigurati da Annibale i tre cugini
e il loro babbo, per far dispetto a Ludovico e deriderne le
pretese di nobiltà. Che veramente egli era figlio di un beccaio.
Simili soggetti di genere avevano d'altra parte incominciato
a prender voga anche in Italia nel Seicento, e furono trattati
altra volta ola Annibale, ad esempio nel balordo mangi afa -
gioli della Galleria Colonna.

Attorno ai maestri sta anche una larga rappresentanza di
discepoli, fra cui B. Schedoni (126), Sisto Badalocchio (129),
l'Albani (144), il Lanfranco (148) e ancora il Domeniehino
(151) con uno spigliato studio di teste senili per la troppo
famosa Comunione di S. Gerolamo; e a loro ben si collegano
il Guercino (159), il Mola (162-163-164) e il Cignani (170).

Delle altre scuole secentesche ricorderemo qualche buon
esemplare napoletano di S- Rosa, e più una tela vivace dello
Strozzi (178) e due opere del Castiglione.

Meno bene figura la scuola veneta, a cui non fa molto onore
la solita ripetizione dei Due Amanti di Pietro Vecchia (244)
e una popolosa ma leziosissima Natività dello Zuccarelli (24S);
sfortunatamente poi l'unica buona pittura che le viene as-
segnata, non senza dubbi, dal B., un bozzetto brillantissimo,
che si direbbe del Boucher; la Natività della Vergine (249),
non le appartiene affatto, come potrà convincersi ognuno
che abbia in mente certi dipinti di S. Giovanni Calibita a
Roma e il simile quadretto della Galleria Nazionale, ma è
opera d'un abilissimo decoratore della scuola di Napoli,
ultimo erede della tradizione venezianesca paesana: il pu-
gliese Corrado Giaquinto. (Giuseppe Fiocco}.

179. Bi:rtarelli (I.. V.). Guida d'Italia del
Touring Club Italiano. I. Piemonte, Lombardia,
Cantóri Ticino. 11 Liguiia, Toscana settentrionale,
Emilia. Quattro volumi, Mihmo, 1916.

Nella ptetazione si dice:

« Gli scopi precipui che si vogliono raggiungere con la
Guida sono due: affrancale gl'Italiani dall'uso di quelle
Guide straniere che si sono generalmente imposte tra noi
pel loro merito reale di redazione e di carte, e mettere la Guida
nostra in un così gran numero di mani da influire sensibil-
mente sulla piccola coltura e sul movimento turistico gene-
rale >».

Quanto poi ai m&todì usati nella compilazione si aggiunge

L'Arte. XX, 47
 
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