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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 21.1918

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Fasc. 2
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Foratti, Aldo: Gli "Ignudi" della volta Sistina
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GLI «IGNUDI» DELLA VOLTA SISTINA

"3

Il platonismo, che si riflette nelle liriche del
Buonarroti, è quello .de' neo-platonici di Ales-
sandria, professato dal Ficino come la dottrina
che conciliava la fede con la bellezza. Onde la
« casta voglia » per il Cavalieri,1 il devoto amore
per la Colonna, l'esaltazione sostanziale del bello
mistico, e tutto ciò nella finzione strettissima
della « Theologia platonica ». Qua e là l'artista
rompe gli stampi concettuali, e vibra colpi d'im-
paziente scalpello nelle strofe animate come le
carni scoperte a mezzo nella pietra; ebbene, il
poeta delle horae subsecivae, non è sempre arbitro
della parola e degli accorgimenti metrici, ma lo
scultore e il pittore esce quando vuole dall'arti-
fizio filosofico, guarda le idee come le sente e le
personifica con calda ispirazione. Non dobbiamo
riconoscere in Michelangelo una doppia coscienza:
poetica e artistica (o pratica), ma certo è che fra il
lirico e l'artefice vi furono rapporti e disegua-
glianze inesplicabili; l'artefice è quasi unilaterale
(specie nelle fisonomie), e però l'illustrare la volta
della Sistina: l'indistinto martirio di un'anima,
con qualche scolorito passo platonico è un ten-
tativo insano, mentre la sottigliezza serve per
identificare psicologicamente alcuni sparsi con-
cetti di Platone negli Schiavi del Louvre e negli
abbozzi di Firenze.2

Michelangelo non badò mai il pensatore greco,
che prescriveva la perfezione morale all'artista
più che all'uomo, ma anzi egli, uomo, sacrificò
al suo impulso il diritto della bellezza (o perfe-
zione etica), il quale — seguendo il maestro —
è anteriore ad ogni cosa bella. La serie degV ignudi
può sembrare risenta della gioia di vivere che
emana dalla dottrina platonica del costume"; può
essere confrontata col dissidio fra l'apparenza e
l'essenza, fra gl'impetuosi atteggiamenti e gl'iro-
nici rifiuti che derivano dal considerare la cadu-
cità de' beni mondani e la prigionia intellettuale
in che si dibatte ogni ribelle. Platone, in qualche
dialogo, arriva mentalmente a giustificare la
morte, e fu detto — con un po' d'imprudenza

reien von Michelangelo am Rande der Deche in der Sixtinischen
Kapelle, in Jahrbuch der kgl. preuss. Kunstsamml., VII (1886),
pagg. 15-19. Idee consimili, ma ancora in germe, si trovano
nell'articolo su Michelangelo, in Deutsche Rundschau, II, 2
(1875), pag. 236 e segg.

1 A. Farinelli, Michelangelo poeta, in Raccolta di studi
critici dedicati ad A. D'Ancona, Firenze, 1901, pagg. 305-34,
e ristampato, con leggerissimi ritocchi, nel volume del me-
desimo autore su Michelangelo e Dante, Torino, 1918, pa-
gine 1-51. Vedi // nuovo giornale dantesco, II, (1918) qua-
derno I.

2 O. Ollendorf, Michelangelo's Gefangene im Louvre^
in Zeitschrift far bildende Kunst., IX (1897-98), pagg. 273-81.

nell'assimilare i significati — che « sous la séré-
nité toute apollinienne de son génie se glisse la
grande ombre du pessimisme »; 1 l'identità del
bello e del buono non attira mai il pensiero di
Michelangelo, più artista che poeta, il quale, evi-
tando l'ebrezza dell'ideale con l'espressione vi-
brata e tagliente, rivive ne' maestosi araldi umani
tutti i vaticini biblici, versando l'anima tempe-
stosa nel turbine di una vita più alta e più alacre.
A combattere ogni inframmettenza filosofica nella
significazione AegV ignudi è indispensabile la suf-
ficiente conoscenza di Platone, di lui appunto,
invocato come rigeneratore della fantasia miche-
langiolesca. La sua estetica elimina il reale, l'in-
dividuo e il movimento, per concentrarsi nell'im-
mutabile fissità dell'idea universale; fra l'arte
astratta e l'imitazione del vero Platone non am-
mette alcuno stadio intermedio, quindi tale teo-
ria non poteva essere osservata da Michelangelo,
che riorganizzò la materia e ne ingrandì le forme
per imprimere in esse la luce dello sguardo che
intuisce, ed il tormento del cuore sicuro della
sorte.

* * *

Non si deve far addebito all'artista se l'atten-
zione di chi osserva la volta è improvvisamente col-
pita dalle figure che passano per un fuor d'opera, e
certo non sono; furono giudicate decorative, men-
tre entrano nell'organismo architettonico-vivente
dell'affresco come controlli della realtà, ripetuti nel
gran giro dell'essere. Gli scrupoli religiosi appun-
tarono nel loro « naturalismo quasi profano » 2 il
senso delle forme perfette, e perdonarono alla bel-
lezza, ricorrendo ad un battesimo spirituale; non
è vero, però, che le più delle teste siano vuote di
espressione: 3 in questa rinunzia c'è l'ammenda
dell'elogio e viene chiarito quel quasi onde si vuole
stabilire il semplice rapporto ornamentale de' nudi,
concepiti con regole antiaccademiche e con indiffe-
renza morale.

Mai enigma simbolico suscitò maggiori simpatie,
nelle quali si riuniscono critici di scuole opposte.
Il Taine + immagina che gli adolescenti eroi (scul-
ture dipinte), che ci trasportano in un mondo supe-
riore e sconosciuto, rimontino a' tempi omerici; ma,

1 C. Piat, Platon, Paris, 1906, pag. 290. Il Vasari
{op. cit., VII, pag. 245) carica le tinte e ci rappresenta M.
come un vero pessimista: «non nasceva pensiero in lui che
non vi fosse scolpita la morte »; alla morte M. allude spes-
sissimo solo in alcune lettere e nelle rime scritte oltre i ses-
sant'anni; ed era ben naturale che il vecchio glorioso, dopo
aver vissuto si intensamente, pensasse alla fine!

2 A. F. Rio, De l'art chrétin, Paris, 1874, IV, pag. 319.

3 Rio, op. cit., IV, pag. 320.

4 Voyage en Italie, Paris, 1884, I, pag. 225.

L'Arte. XXI, 15.
 
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