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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 22.1919

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Fasc. 1-2
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Lopresti, Lucia: Marco Boschini, scrittore d'arte dell secolo XVII
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https://doi.org/10.11588/diglit.17339#0050

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28

LUCIA LGPRESTI

delusione racchiudendo in uno schema affrettato
l'esposizione delle ultime vicende artistiche di
Venezia.

Dove trovare, infatti, le amorevoli morbidezze
della lingua boschiniana in questa « Distinzione
di sette maniere in certa guisa consimili » che segue
la vivida illustrazione di tutta la serie dei più
chiari pittori veneti? Dove sono le frasi esaltanti
le meraviglie magiche della nuova arte? Ahimè,
ormai Boschini ha capito che gli infiniti pittori
del suo tempo non facevano che seguire più o
meno bene « le pedate di tre, cioè di Tiziano,
del Tintoretto e di Paolo Veronese »: e sceglie,
a rappresentare la nuova èra pittorica, sette ar-
tisti che non son neppure quelli per cui prima si
accendeva maggiormente il suo entusiasmo. Che
cosa è successo in questi anni del leggiadro Fora-
bòsco; del bravissimo Bellotto, di Pietro Vecchia,
di Renieri? Boschini si guarda bene dal dircelo.
Egli fa marciare rigidamente i suoi sette pittori
per la trafila di poche pagine, e ogni tanto ne squa-
dra con pochi tratti uno, abbandonandolo poi al
crocevia di qualche combinazione stilistica di du-
bitoso gusto.

Davvero non ci regge l'animo di riportare
qualche esempio sul modo con cui egli liquida così
precipitosamente la sua ultima merce pittoresca.
Nulla è più triste del tono umile e modesto usato
ora.da colui che conoscemmo sempre infaticabile
esaltatore dell'arte veneta; e non ci si può difen-
dere da uh piccolo movimento di commozione,
quando, alla fine del capitolo, lo si sente raccoman-
dare con caldissimo linguaggio una più attenta
custodia dei capolavori passati e mai più raggiunti.

Grandissima è dunque la differenza che corre
tra lo stile della Carta e quello delle Miniere, per
quanto riguarda la trattazione delle manifesta-
zioni artistiche del 600. Ma se per questo argomento
essa si basa su elementi di speciale rilievo, non è a
dire che nelle altre parti delle due opere essa cessi
completamente di esistere. Abbiamo già accen-
nato a questa generale diversità quando comin-
ciavamo ad esaminare le Ricche miniere. Di-
cemmo allora, che molte bellezze espressive e molte
spontanee intuizioni si perdevano nell'ultimo
breve estratto delle idee boschinianc. E venuto
ora il momento di mostrare in che cosa queste
bellezze, già del resto intravedute, consistano.

Lo stesso disegno distributivo dell'opera age-
vola nella Carta il fiorire delle più libere manife-
stazioni dello spirito boschiniano. Non c'è ma-
teria obbligata per ognuno dei « Venti » pittore-
schi. Essi han quasi l'aria di essere improvvisati:
comincian tutti nello stesso modo e dal capriccio

delle circostanze traggono alimento per la pro-
pria indefinita continuazione; così che, mentre si
leggono, si è particolarmente tentati di credere
che i dialoghi tra l'Eccellenza e il Compare siano
realmente avvenuti, e nella stessa maniera con
cui son descritti; tanto è discorsivo e naturale
il tono del loro procedimento.

Ora nello svolgersi di questa placida, sequela
di domande, di risposte, di motti e di tirate ora-
torie, scappano fuori le più straordinarie intui-
zioni del Nostro, quelle che forse egli non avrà con-
cepite e accarezzate che nelle più intime fantasie,
c qui, appunto, cullato dal ritmo confidenziale
del suo poema.

Voce direttissima dei sentimenti e delle pre-
dilezioni del Nostro, la Carta del navesar pitto-
resco dimostra naturalmente quelle caratteristiche
convinzioni che si son già notate nelle Miniere;
essa è travcisata interamente da un'unica cor-
rente di aspirazione e di desiderio, da un solo di-
stailo di trasfigurazione interpretativa.

Noi abbiamo sentito Boschini parlar di Ti-
ziano, di Giorgione, di Paolo, abbiamo cercato di
rappresentarci la forma e la qualità della sua am-
mirazione per questi grandi; e le conclusioni a cui
siam giunti ci hanno portato ad accordargli,
oltre a un solido gusto pittorico, anche un assai
fine e sottile discernimento critico. Abbiamo
visto insomma che la sua comprensione della
maggiore pittura veneta è, suppergiù, la nostra; e
che le differenze che dividono la sua interpreta-
zione da quella di oggi si possono tutte attribuire
alla diversità dei tempi.

Nella Carta invece noi non possiamo a meno di
accorgerci che il nostio Autore interpreta tutta
la pittura che cade sotto il suo esame, in un certo
senso, e per un dato scopo. Cosicché questo poema,
ci fa l'effetto, direi, di un pranzo cucinato tutto
cogli stessi aromi; le frasi adoperate per Tiziano
assomigliano a quelle usate per Paris Bordone
e pel Pordenone; queste, a lor volta, hanno lo stesso
sapoie di quelle che esaltano l'opera di Andrea
Schiavone, di Jacopo Bassano; e così via di seguito.

In tal modo le diverse maniere ci sfilano davanti
come la gamma di uno stesso colore insensibil-
mente digradante, e nói ci sorprendiamo a rima-
nere per lunghe pagine in attesa del tono che serve
di base a tutti. Questa base tematica esiste; ed
è precisamente la maniera del Tintoretto.

Si è già notato altrove qual forza dominatrice
acquisti nello spirito boschiniano lo stile tinto-
rettcsco; ma l'espansione di questa forza si trovò
frenata allora nel breve giro di poche pagine in
piosa italiana. Ora essa ci si mostra in tutta la
sua pienezza suggestiva e in tutta la sua potenza
espressiva; si assesta .in mille forme, si ripete, si
 
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