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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 22.1919

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Fasc. 3
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Tea, Eva: La mostra delle opere d'arte tornate da Vienna
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n6

EVA TEA

C'è di più uno spunto caricaturale, un attimo
di riso, temperato dalla serietà dello stile: le figu-
rette che s'incontrano al centro del quadro, l'una
di prospetto,- tozza nel bigio sajo, l'altra di dorso,
con l'ombrello sotto il braccio, grossa donna
Prassede nel domenicale abito bruno. I due, in-
contrandosi, si adocchiano: la borghese bonomia
di un Teniers ispira la scena, che è di tutto il qua-
dro, coloristicamente, la cosa più fine, ardita e
nuova. Come quel bigio e quel cupo oliva emergano
avviluppati dall'aria d'oro, senza confondervisi,
con la nitida indeterminatezza delle visioni cre-
puscolari, so bene che è effetto di magistero sommo;
spiegarlo non so.

C'è poi un ultimo argomento probativo in fa-
vore della nostra attribuzione; il quale pensata-
mente s'è voluto serbare per ultimo, parendoci
che prima il dipinto dovesse parlare da sè.

La tela del Martirio fu commessa il 14 luglio
1515 dalla scuola grande di S. Marco a « Messer
Zuan Belin », il quale s'impegnava a « depenzer
suso el ditto teller la historia soprascritta, cum suo
casamenti, figure, animali et tutto quello achadera
a tutte sue spese,... si de colori come de ogni altra
cosa in tutta perfection, come se convien a quel
luogo, et come rechiede la Excellentia dela virtù
del ditto Messer Zuanne, meiorando el teller che se
trova al incontro, el qual fece messer Zentil suo fra-
delio ». 1

Ho detto probativo, e non decisivo, questo do-
cumento, perchè è noto quanto ingannevoli siano
tali testimonianze di contratti, quando non soc-
corra l'esame stilistico. Ma l'ipotesi che l'opera
potesse da Giambellino affidarsi a scolari venne
già esclusa dianzi; se al posto del maestro fosse
stato un discepolo tanto prossimo a lui, non par
credibile che i guardiani della scuola volessero
ricorrere a Vittore, dopo lunga sospension di la-
voro, quale la data terminale, 1526, lascia sup-
porre.

Non era poi facile eludere il gusto avvisato dei
committenti, clic non aveva sodisfatto l'arte pro-
fana di Gentile.

Da oltre dieci anni Giambellino era impegnato a
quest'opera col fratello « la qual pitura may f o pren-
zipiada ». È sì vero che nel 1504 Gentile ne aveva
«non senza gran studio... preparato uno zerto modclo
in desegnjo, che sono una bela fantasia... eli sopra
dela porta che sarà la faxa oposita a quela dove
là prinzipià el primo teler », ma sebbene l'opera
presentasse i vantaggi di una lodevole economia,

1 P. Paoletti, Raccolta di documenti inediti per ser-
vire alla storia della pittura veneziana. Padova, 1894, I,
p. 14. Il 5 luglio 1515 Bellini riceveva il primo paga-
mento a per parte del lavor soprascritto ».

(« non se trovergj a homo che tolese tal imprexa
per altretantj danarj et farsi molto più] ») i guar-
diani della scuola non ne stettero contenti, e la
commissione fu rinnovata, come vedemmo, a
Giambellino. Il quale visse ancora un anno tempo
sufficiente al maraviglioso vecchio, ammirato dal
Diirer, per dipingere i casamenti, figure, animali
convenuti nel contratto.

Per condurre le architetture forse si giovò di
scolari, sebbene la coloritura in toni d'avorio e di
licheni, delicatamente soffusa di luce, sia squi-
sitezza sua. Le figure della terrazza furon dipinte
quando già era condotto il filo del parapetto, che
le taglia per trasparenza. Invece le macchiette al
verone di sinistra sono pensate ed eseguite con l'ar-
chitettura, come complesso accordo di colore. Il
gruppo ad angolo, toccato appena, non ha sostegno
architettonico, e le figurine, viste da vicino, sbu-
cano burlescamente dal tappeto. La fronte destra
del portico e la scala sono incompiute; la servente,
molto ridipinta, è ancora di Giambellino; s::oi
i guidatori d'elefante, delicatissimi. Nella caval-
cata, Vittore interviene col suo pennello infan-
tile e stentato; la giunta delle due dipinture è vi-
sibile sul suolo, tra le zampe dei cavalli, dove
sull'umido oliva del maestro si sovrappone il tono
secco e tòsto del seguace. Lasciò il Bellino un
disegno completo della composizione? Penso di
si. Il gruppo degli spettatori di sinistra man-
tiene traverso la traduzione mediocre una di-
gnità psicologica di atteggiamenti che conviene
al Bellino tardo. A destra l'azione si svolge più
originale e con altro carattere: par di scorgervi
non so qual faticosa reminiscenza nordica. Forse an-
che Giambellino aveva ideato uno sfondo montano.
Le scenette della cavalcata e degli elefanti fanno
presentire l'aperto; ma lo sfondo doveva chiudersi
a destra con altre architetture, per un certo paral-
lelismo comune a siffatte composizioni. Vittore
sembra aver abbandonato la primitiva idea del
maestro, o per non sentirsi atto a eseguirla, o
perchè nel frattempo i guardiani avessero mutato
idea; e ciò gli permise di apporre dopo undici anni
dal principio dell'opera quella firma che per tanto
tempo doveva oscurar la conoscenza dell'ultima
pittura di Giovanni Bellino.

È strano, in verità, come la memoria di questa
collaborazione si sia perduta subito, a beneficio
dell'ultimo firmatario. Giorgio Vasari, che potè
vedere la pittura in sito fin dal suo primo
viaggio a Venezia, ne loda la prospettiva di ca-
samenti ragionevole, ma non sospetta punto la
presenza del maestro; e nemmeno il Sansovino. Lo
Zanetti, citando il Boschini, la giudica « opera co-
piosa di figure, di ritratti, e di fabbriche, ben pen-
sata ed eseguita con qualche carattere di gran-
 
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