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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 23.1920

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Fasc. 1
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D'Ancona, Paolo: La "Leda" di Leonardo da Vinci in una ignota redazione fiamminga
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https://doi.org/10.11588/diglit.17340#0110
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P. D'ANCONA

zione dell'insieme, specialmente nello sfondo di paesaggio, a sinistra. Nel rendere ogni
dettaglio, i sassi, i cespi d'erba, gli arbusti, si riscontra nella nostra copia la stessa cura
meticolosa che abbiamo notato nella tavola Johnson, ma vi è maggior sobrietà nello
studio del dettaglio, e la rappresentazione lussureggiante della natura vegetale non oc-
cupa il primo posto come nella tavola di Filadelfia.

La Leda e il cigno si presentano qui nello stesso atteggiamento che si nota nel di-
pinto della collezione Spiridon: la mano sinistra di Leda pende però aperta e inerte sul
corpo del cigno senza recare il mazzolino fiorito che l'altro pittore le ha dato. La linea
ondulata del corpo ha perduto nella nostra copia alquanto della sua agilità, le forme
appaiono ingrossate, sono divenute più pesanti, hanno acquistato qualche cosa della flacci-
dezza fiamminga. Ma il gioco della luce e dell'ombra nelle carni è reso con maestria e
messo in valore dal panno lievemente violaceo che in parte ricopre la figura. La testa,
dai capelli biondi lumeggiati d'oro, ha perduto ogni accento leonardesco, e quel volto
tondeggiante, dal caldo incarnato, non ha alcuna analogia con le espressioni muliebri
consuete a Leonardo. La rappresentazione del paesaggio è del tutto nuova con quel
grande cespuglio di quercia che serve da sfondo, nel centro, e sembra un motivo ampli-
ficato della copia Doetch: mirabile, a sinistra, la distesa di paesaggio azzurrina, chiusa
all'orizzonte da un castello turrito, simile, in qualche parte, a quello di Milano.

Se, a prescindere da ogni valore di tecnica, ci domandiamo ora qua] contributo possa
portare il nostro quadretto alla conoscenza della perduta opera leonardesca, dobbiamo
dichiarare che per questo rispetto la sua importanza appare ben poco rilevante, perchè
quasi nulla la nuova composizione aggiunge a quanto le altre, già note, avevano rivelato.
Tutt'al più può servire a testimoniare ancora una volta sulla disposizione del gruppo
principale ideato da Leonardo. Ogni incertezza invece sussiste circa il paesaggio che il
maestro aveva immaginato per questa sua composizione che glorifica l'amore e la fecon-
dità nella natura. Non ce ne informa il paesaggio toscaneggiante della copia Borghese,
non quello della copia Doetch, mal definito e slegato, non quello della copia Johnson,
che è di chiara derivazione fiamminga, non quello Oppler, di troppo semplificato, e nep-
pure quello Spiridon per quanto rechi più evidente l'impronta leonardesca. Il nostro
quadretto non ha davvero la pretesa di portar luce nuova sulla interessante questione.
Esso soltanto torna a suffragare una vecchia verità: che alle concezioni del genio si ispi-
rano intere generazioni e che qualche volta un vecchio motivo, affidato a buone mani,
può produrre un'opera che, nella sua stessa modestia, si solleva dalla mediocrità.

P. D'Ancona.
 
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