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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 23.1920

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Fasc. 1
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Bollettino bibliografico
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https://doi.org/10.11588/diglit.17340#0117

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BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO

9.3

eli contrapporsi, quando è così patente che i suoi scritti non
esisterebbero neppure senza quegli altri? Il critico della Gal-
leria di Napoli mi fa venire spesso a mente l'immagine di
quei viaggiatori disorientati e boriosi che partono nel mondo
con gran propositi d'indipendenza, ma giunti nella trattorìa
della città nuova e ignorata finiscono per ordinare quel che
vedono nel piatto del vicino.

Bene dunque, ottimamente, il De Rinaldis quando mi
segue nelle linee generali sulla pittura secentesca napolitana,
stroncando Corenzio (Battistero, L'Arte, 1915); rivendicando
il grande valore dello scrittore De Dominici per la scuola lo-
cale del *6po (Battistello. VArte, 1915); ed affannandosi tanto
nello stabilire esattamente la parte di Artemisia nella forma-
zione di Cavallino e dì Stanzicni. (1 Gentileschi. L'Arte 1916).

Se poi, con evidente smemoratezza, il De R. tende a far
credere ch'io abbia caricato le. tinte nella rappresentazk ne
delle influenze di Artemisia sui napolitani, chi gli potrebbe cre-
dere sapendo che proprio io ero stato a stabilire la necessità
di dosare con estrema discrezione tali influenze, e a fare il
luogo dovuto alle refluenze probabili dell'opere dei napolitani
in quelle della pittrice toscana? di quei napolitani «menti
d'artisti più larghe e per definizione più maschie, e in grado
persino di ripresentarle perfezionati dei procedimenti pitto-
rici ch'essa per prima avesse loro additati? ».

Bene ancora il De Rinaldis quando corregge secondo le
mie benevole indicazioni tutte le storpiature storiche accu-
mulate nella Vita di Artemisia, da lui pubblicata in quelle
Ricche miniere di orrori critici, che rispondono al titolo di
Catalogo della Pinacoteca di Napoli, approvato dal Ministero
della Pubblica Istruzione.

Bene intìne quando il De R. pubblica gloriosamente al-
cune belle opere inedite di Cavallino, e fra l'altre: La leggenda
del Serpente di bronzo, la Morte di S. Giuseppe, e il Mose sal-
vato dalle acque; opere tutte il cui ritrovamento si deve ad
Ettore Sestieri, che sarebbe stato ben più competente per
parlarne a dovere.

Ma subito dopo, male, ahimè! quando il De Rinaldis è co-
stretto a camminar da solo e senza dande altrui.

La consecuzione ch'egli pone fra le varie opere di Caval-
lino, è raccapricciante; credere per un solo istante che la
Morte di San Giuseppe della Collezione Sinigaglia, sia poco
meno che opera primitiva di Cavallino, di parecchio anteriore
all' Adultera di Verona; creder questa prossima nWEsier di
Firenze; e questa, a sua volta, anteriore a quella-deìla Galleria
Pagliara; e porre anche più tardi il Tobiolo di Roma e il Mose
salvato del dott. Venner; vuol proprio significare una com-
pleta insensibilità allo sviluppo inevitabile, in certe tempera-
ture storiche, delle espressioni formali e cromatiche di un
delicatissimo pittore.

Pubblica infine il De Rinaldis La Cena di Gesù in Bctania,
del dott. Paolo Venner; un dipinto ch'egli tiene « come supera-
mento dei vari tentativi cromatici tentati dal Cavallino nel
suo periodo primo & e che gli sembra « una delle tante Cene alla
Veronese, tradotta in buon dialetto partenopeo nello studio
di Massimo Stanzione; ed è condotta con sì forte impasto di
colore 0 ch'egli la pensa « preparata ad esser trasferita su più

grande tela, per uno di quei quadroni lunghi da collocare
sulle cimase dei cappelloni aperti da crociera ».

E non si potrebbe dir meglio. Salvo la svista del dialetto,
ch'è questa volta non partenopeo ma genovese.

Il quadrone da cimasa di crociera di cui il quadro è boz-
zetto, esiste, in realtà, ed è da parecchi anni per gioia degli
occhi neirAccademia di Venezia; opera, come il bozzetto, di
Bernardo Strozzi, detto il Cappuccino, ovvero il Prete geno-
vese. Si rivolga l'ispettore De Rinaldis ai valorosi confratelli
delle RR. Gallerie di Venezia ed avrà informazioni al riguardo.

Che peso dare ormai all'autorità di Aldo De Rinaldis in
materia di Bernardo Cavallino?

Ma s'egli volesse pazientare e riacquistare un poco di con-
fidenza in altrui, gli promettiamo fra breve la pubblicazione di
una Idea dello svolgimento della Pittura napoletana nel '600, che
gli potrà fare o un gran male o un gran bene, ch'è lo stesso.

Frattanto, studi la Galleria di Napoli invece di disordi-
narla, come sta facendo! Di Cavallino, laggiù, ce n'è tanti
da scoprire!

Penso che potrei anche scrivere una Idea dello svolgimento
critico di A. de A'., ma è cosa che m'interessa mediocre-
mente.

Non sono il Barbanera, vi dico! Ma se il De Rinaldis nel 1920
nega ogni valore critico al suo scritto sul Cavallino del 1910,
il pronostico per il 1930, francamente, mi è troppo facile.

39. John sto ne (J. H.), An early picture by Ni-,
colas Poussin. (Buri. Mag., settembre 1919).

È un dipinto delizioso del tempo che Poussin giovane
studiava sopratutto i Baccanali di Tiziano a Villa Ludo visi.
Rappresenta L'adorazione del Vitello d'oro, è firmata e da-
tata 1629, e passò di recente fra le mani dell'antiquario
londinese Max Rotschild.

40. Kehrer (Ugo), Francisco de Zurbaran.
(Munchen, Schmidt 1918).

È una monografia ottimamente informata, molto illu-
strata, un po' pesante come fattura e come partizione
fast unertràgliche. In finitamente superiore tuttavia, ben
s'intende, a quella del Cascalez y Mufioz escita nove anni
fa, e di valore critico assolutamente nullo.

Ci piace di vedere che il Kehrer è tornato — e ci si do-
veva pur tornare per amore o per forza — al riconoscimento
dell'importanza generale e speciale del rinnovamento cara-
vaggesco per la comprensione del grande spagnolo. Tuttavia
il problema è, criticamente, appena sfiorato. Il Kehrer
si dibatte fra l'affermazione di uno Zurbaran estremamente
« monumentale » e il desiderio dì farlo rientrare negli schemi
wòlffìiniani del Malerischi, i! generalissimo di tutto il
periodo barocco. Avverte egli stesso l'impossibilità di sa-
nare il contrasto tra le due concezioni, ma non lo risolve
tuttavia in una superiore verità per non sapere uè abbando-
nare quel concetto abbastanza insignificante di e monu-
mentale » (ma che cos'è poi il monumentale se ci sono per-
sino dei monumenti che non sono affatto monumentali?!),
nè d'altra parte condurre una critica profonda agli sche-
matismi un po' troppo accentuati del Wólrflin.

Prati coniente poi n eli' esaminare l'attività di Zurbaran
 
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