Universitätsbibliothek HeidelbergUniversitätsbibliothek Heidelberg
Metadaten

L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 25.1922

DOI Heft:
Fasc. 2
DOI Artikel:
Pittaluga, Mary: L' attività del Tintoretto in Palazzo Ducale
DOI Seite / Zitierlink: 
https://doi.org/10.11588/diglit.17342#0124
Überblick
loading ...
Faksimile
0.5
1 cm
facsimile
Vollansicht
OCR-Volltext
98

MARY PITTA LUCA

Ma se, come il racconto del Kidolfi piuttosto fa supporre, egli intese crear cosa
d'arte, del tutto e soltanto per sè stessa appagante, bisogna ammettere che venne meno
al suo fine. La grandiosità « sentimentalismo di grandezza, affatto estranea all'arte
prese, nella concezione, il sopravvento, e la monumentalità dell'insieme, la folla im-
mensa dei santi e dei beati, cui la coscienza del Tintoretto, sola, avrebbe forse saputo
prestar spirito religioso, colla cooperazione d'altri resultò soltanto ad un'immensa mac-
china teatrale, serbante appena motivo di bellezza nell'armonica solennità del suo
ritmo compositivo.

Una sola delle allegorie dell'Anticollegio parla dell'artista indicibilmente più che
non tutto il Paradiso.

* * *

E termino.

Resulta dunque da libera indagine stilistica che l'attività del Robusti, nel Palazzo
dei Dogi, fu effettivamente più limitata di (pianto la voce tradizionale non volle: e che,
se i quadri dell'Anticollegio sono capolavori d'ogni tempo, se altre opere v'hanno,
altamente significative per l'intelligenza della capacità del maestro, molte ve ne sono che
furono appena pensate da lui, senza aver avuto la ventura di prender immediata vita
d'arte sotto a il furioso pennello » — ed alcuna, perfino, gli fu del tutto estranea.

Può dirsi anzi con certezza che chi, ignaro dell'arte di Jacopo, entrasse in Palazzo
Ducale ed ivi la considerasse, non potrebbe averne che il meno adeguato dei concetti.
Se di lì si recasse poi nella Scuola di S. Rocco, il suo giudizio resterebbe sconcertato,
tanto diverso gli apparirebbe lo spirito racchiuso nelle tele di questo luogo, rispetto a
quelle dell'altro: e, appena fosse dotato d'attitudine a valutar l'arte, sentirebbe, io credo,
che l'anima del vero Tintoretto rivive nella sua colossale interezza nelle tre sale della
vecchia confraternita più assai che non fra gli ori del Palazzo dei Dogi.

Ci si spiega del resto, sia pur senza gioia, cóme l'occupatissimo e vecchio Jacopo,
sicuro ormai della sua fama, potè affidare ad altri proprio l'esecuzione di quelle tele,
dopo averle appena, a grandi linee, progettate.

Si richiedevano per le sale del Palazzo riedecorande in gran fretta dopo l'incendio
del '77, e per quella del Gran Consiglio in ispecie, delle opere che « facessero effetto > e
che ben s'adattassero all'insieme decorativo dei soffitti e delle pareti: la pittura, qui,
doveva esser il complemento degno della fastosissima cornice, cui era destinata, e in-
sieme, cornice e pittura, (non pittura sola!) miravan a conseguire un finale effetto di
massimo pittoricismo. L'affascinante, quanto complesso problema decorativo della pit-
tura veneziana del Cinquecento, che si offre oggi quasi intentato al nostro giudizio, si
offriva allora alla pratica dei maestri: tele, non affreschi, si volevano; e tele racchiuse in
altorilevate cornici d'oro: oro e rilievo, antitetici elementi, conseguenti sintesi nella fun-
zion della luce solare, per desiderio di pittoricismo, inesausto nell'anima veneziana. Ora,
gli artisti che attendevano ad opere siffatte, miravano ad un resultato, cui doveva, per
• forza di cose, esser in parte almeno subordinata la personalità d'ognuno: al Tintoretto,
esteta naturalmente grandissimo, la circostanza non poteva sfuggire; e ne approfittò per
i suoi fini pratici.

Non così Paolo.

Sarebbe di vivo interesse, se non esorbitasse dai limiti che per ora m'impongo, con-
siderare quanto, della falange d'operatori che ivi attese a celebrar col pennello l'idea di
Repubblica, gli uni abbiano subito influssi dagli altri, e quanto, favoriti anche dall'af-
finità dei temi iconografici, sian pervenuti (Veronese e Tintoretto eccettuati) a forme
che posson dirsi di apersonalità. La quale non è però tale da non rivelare — a chi
abbia veduto, come fu possibile in questi anni, le tele a terra, vicine, in gran luce — non
è tale da non rivelare la coesistenza dei due principi d'arte, diversi ma non opposti, do-
minanti la seconda metà del Cinquecento veneziano. Anzi, direi che nell'opera dei rispet-
 
Annotationen